Roma, 29 ottobre 2015.
Gli assistenti sociali possono essere considerati la spina dorsale dei sistemi di welfare avanzati svolgendo un ruolo cruciale per interpretare e organizzare i servizi di welfare, nonostante una significativa ristrutturazione di tali sistemi – in Europa come in Italia – stia cambiando il contesto in cui essi esercitano la loro professione. L’area della tutela e protezione dei minori di età è considerata fortemente radicata nella professione a conferma di un’attribuzione di ruoli e compiti ben presenti nella società italiana. Pur svolgendo una professione con un forte mandato pubblico, essi rappresentano un gruppo con una posizione relativamente debole nell’apparato pubblico e con limitate possibilità di incidere sull’imposizione di nuove priorità e compiti di lavoro che limitano significativamente l’autonomia professionale.
Questi alcuni dei risultati cui è giunta una ricerca sulla professione di assistente sociale presentata oggi nella sala polifunzionale di Palazzo Chigi, a Roma, e che ha visto il coinvolgimento di oltre duemila e settecento professionisti sui cinquemila e seicento – in rappresentanza degli oltre 40mila complessivamente iscritti all’Albo – cui è stato somministrato un apposito questionario.
“Una ricerca – spiega Silvana Mordeglia, Presidente del Consiglio nazionale degli Assitenti sociali – che ha permesso di rilevare le opinioni degli assistenti sociali italiani in merito ad una serie importante di questioni quali welfare, povertà, lavoro, e di rilevare, inoltre, il pensiero della professione in Italia in questa complessa fase socio-economica, fornendo chiavi di lettura e tendenze in atto. L’iniziativa nasce da una collaborazione tra l’Università di Lund (Svezia), l’Università di Helsinki (Finlandia), l’Università di Genova e il Consiglio nazionale e rappresenta l’estensione di uno studio svolto in Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia”