“Stop pregiudizi e professionisti competenti, l’affido è prezioso”

“Le famiglie che danno la disponibilità all’affidamento sono preziosissime, ma sono sempre di meno: le condizioni economiche di molti nuclei sono peggiorate, molte donne sono impegnate nel lavoro, stereotipi e pregiudizi riducono gli interventi di protezione per  bambine e bambini, ragazze e ragazzi. Noi assistenti sociali sappiamo bene quanto sia importante poter contare su una famiglia accogliente quando la propria attraversa momenti di difficoltà, ma gli elementi di osservazione che abbiamo ci fanno dire che occorre tanto, tanto impegno per ristabilire la fiducia nei confronti dei servizi, che occorrono segnalazioni tempestive dalla scuola, dal volontariato, dai centri aggregativi, dalle comunità perché si riesca ad intervenire celermente in tutte quelle situazioni in cui i minori sono vittime di negligenza, rifiuto, maltrattamento fisico e psicologico e isolamento relazionale”.

Un momento di riflessione importante e necessario quello organizzato da Avvenire: “Famiglie affidatarie. Come rimettere al centro mamme e papà accoglienti?”  al quale ha preso parte la presidente dell’Ordine, Barbara Rosina.

“In questi anni abbiamo chiesto noi per primi leggi di riforma sia del sistema di protezione dei minori e delle loro famiglie che della professione di assistente sociale – ha detto Rosina –  ma questo non può essere realizzato attraverso dispositivi che, anche nella terminologia, guardano con pregiudizio al sistema dei servizi gettando, magari in modo involontario, discredito. Nella riforma Cartabia si parla, soltanto per l’affidamento e non per gli inserimenti in comunità, di un periodo massimo di due anni, eventualmente rinnovabili per gravi motivi. L’ esperienza quotidiana, ci fa affermare che ogni situazione va valutata per se stessa, che i periodi di cambiamento possono essere diversi e che definire per legge dei tempi non risolve i problemi più velocemente ma, al contrario, rischia di ridurre la possibilità di protezione”.

La presidente Cnoas ha poi ricordato le diversità territoriali nella spesa socio-sanitaria, citando gli ultimi dati forniti dall’Osservatorio CNEL: se, per i servizi sociali importanti, in un posto non si arriva a 10 euro a persona in un anno e in un altro si superano i 500;   se in alcune aree il livello essenziale della presenza di assistenti sociali – 1 a 5000 – è disatteso fino raggiungere la percentuale di 1 ogni 15mila abitanti, “non è possibile lavorare né sulla prevenzione né sul recupero delle competenze genitoriali”.

Infine, un ennesimo richiamo a chi fa le leggi, a chi governa il Paese: “Da anni chiediamo una riforma della professione e dei corsi di studio in servizio sociale perché  le competenze dei professionisti devono essere adeguate alla complessità dei fenomeni e della società  in continua evoluzione. Segnaliamo la necessità della definizione di elenchi di specializzazioni che ci consentano di definire quali siano i requisiti necessari per poter lavorare in contesti difficili come quello della tutela dei minori e delle loro famiglie. In attesa del prossimo sacricabarile o della prossima uscita propagandistica su uno dei tanti problemi che noi affrontiamo: dipendenze, carceri, salute mentale, solitudini…sottolineo che, fin qui, ogni richiesta è caduta nel vuoto”.