Oltre le procedure, le valutazioni, le risorse. Il racconto del tempo concesso

Un giovedì come tanti. Si presenta al mio ufficio, qualche istante prima dell’ orario riservato al Punto Insieme – il primo approdo per persone anziane non autosufficienti o alle persone con disabilità e loro familiari –  un giovane anziano con una vocina molta bassa, delicata, sofferente,  quasi femminile : “Buongiorno posso disturbarla? Se ha da fare vengo un’altra volta”.
“Prego si accomodi – rispondo – è venuto per il Punto Insieme?”.
Si siede davanti a me e: “Mi hanno detto di venire qua per chiedere delle cose, mi chiamo Vanni – dice tenendo tra le mani un piccolo foglietto con degli appunti – Le spiego, mia moglie Rina è ricoverata dal 29 settembre in neurochirurgia, le hanno trovato una ciste al cervello e una al cervelletto. Sa, è caduta due volte, la prima volta credevo che fosse stato per il pavimento bagnato, la seconda volta siamo andati in ospedale. Adesso alla Tac di controllo hanno detto i medici che la ciste al cervelletto è un poco diminuita”.
Parla, racconta, ascolto senza interrompere: “Si stanno incontrando il primario, l’oncologo ed il radioterapista per capire come intervenire. Escludono la chemioterapia. Stanno ragionando se le terapie potrebbero allungarle la vita o se è meglio lasciare stare tutto cosi”.

Vanni scoppia in pianto, salgono le lacrime anche a me, ma le respingo. Ho da poco perso mio padre, i miei genitori sono stati 63 anni assieme, ma io sono una professionista, devo ascoltare e provare ad aiutarlo, non posso piangere insieme a lui. Cerco di rasserenarlo, di fargli qualche domanda: ha figli, parenti? Mi dice che la moglie, Rina, ha un fratello, malato anche lui, niente figli. Dunque, sono soli.

Vanni e Rina hanno entrambi 69 anni e stanno insieme da 52 perché si sono conosciuti sui banchi di scuola e, torna a raccontare:  “Pochi mesi fa, dopo una serie di visite specialistiche, l’ho portata da molti professori,  Rina è stata sottoposta ad un intervento agli occhi molto delicato per il quale è dovuta stare quasi ferma per tre mesi. Abbiamo dormito per novanta giorni mano nella mano, lei sulla poltrona reclinabile e io sul divano… Quando siamo andati al Pronto Soccorso dopo la caduta, il medico è venuto e  ha detto a bruciapelo; ‘Signora, lei ha molte metastasi!’. Non è possibile comunicare una simile notizia in questo modo, noi non sapevamo, non immaginavamo niente…”.

Il giovane anziano piange e parla, della sua adolescenza in collegio perché i suoi non andavano d’accordo, della madre, insegnante generosa che faceva il doposcuola senza compenso e prestava soldi a chi ne aveva bisogno, soldi che spesso non sono tornati indietro; “molte persone, alla sua morte mi hanno cercato per restituirmeli quei soldi, ma io non li ho voluti”:

Dovrei fare il mio lavoro, dovrei interrompere  il suo racconto e chiedergli i dati per la scheda del Punto insieme, ma…guardo sul suo cellulare le foto di lui e Rina dello scorso Natale, lei dimostra molto di più dei suoi 69 anni. Da un altro cellulare mi fa vedere un video di sua moglie in ospedale che canta una canzone, non somiglia alla donna accanto all’albero di Natale che ho visto prima.

Vanni ha due cellulari, quasi volesse separare un prima e un dopo.

Continua a parlare ed io ascolto con piacere la storia di un amore senza fine, Vanni mi confida di voler passare tutti gli attimi possibile con la sua dolce metà, di partire molto prima da casa per andare a trovarla in ospedale perché teme di trovare traffico e vuole sfruttare ogni minuto con lei: “Faccio un poco il pagliaccio per rasserenarla quando sono con lei – dice – e quando non le sono accanto, ci sentiamo spessissimo quando non siamo insieme. Mi chiama per ricordarmi le medicine per sapere se ho mangiato perché – e mi mostra che ha dovuto stringere la cintura – non mangio molto e sono dimagrito. A casa, solo, parlo con lei che non c’è. Le dico che sono tornato. Non posso pensare ad una vita senza di lei, non riesco a dormire la notte”.

Penso che dovrebbe dormire, che ha bisogno di un aiuto psicologico. Gli consiglio di farsi aiutare dal suo medico per il sonno, di andare da uno psicologo, ma non può, mi spiega: la notte deve stare sveglio in caso Rina lo dovesse chiamare, quanto allo psicologo ha chiamato per l’appuntamento e gli hanno dato un orario che potrebbe essere incompatibile con le sue visite all’ospedale e così ha rinunciato.

Alla fine scopro che è venuto a chiedermi come posso aiutarlo quando la moglie uscirà dall’ospedale. Ho la sensazione netta che Rina non tornerà a casa, ma gli spiego come muoversi al momento della dimissione; procedure, servizi, risorse. Gli lascio i miei recapiti perché possa aggiornarmi sulla moglie e mi raccomando che pensi un po’ a sé: “Rina lo vorrebbe”, gli dico.

Va via salutandomi con una cordialità e una gentilezza disarmante.  Lo vedo uscire e penso, ancora una volta e più fortemente, che il nostro lavoro non è fatto soltanto di procedure, valutazioni, risorse. Essere assistente sociale significa anche dare un po’ del nostro tempo, ascoltare, rassicurare e tutto questo ci arricchisce.

Poco dopo mi arriva una mail, Vanni mi aggiorna rispetto ad una indicazione che gli avevo dato, ma l’inizio del messaggio è questo: “Buongiorno Irene volevo ringraziarTi per tutto il tempo che mi hai dedicato”.

Quella T maiuscola… per il tempo concesso!

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Irene Bacci – Toscana . (Vanni  e Rina sono  nomi di fantasia) .