Il lavoro dell’ assistente sociale? “Un’attività silenziosa e poco visibile rispetto alle opere pubbliche”. Queste le parole che il Sindaco del Comune dove lavoro dal 2019, amministratore con una spiccata sensibilità e umanità verso la comunità, ha evidenziato, in un articolo pubblicato su un quotidiano locale in cui racconta un intervento del nostro servizio avvenuto pochi giorni fa a favore di un adulto fragile diventato sui media la notizia: “Anziano non risponde al telefono e l’assistente sociale lo salva”.
Domenica mattina, mi sveglio con numerose notifiche di messaggi arrivati sul mio cellulare da colleghe, colleghi, volontari, operatori di diversi servizi che esprimono riconoscimento rispetto alle modalità di gestione del caso, ma soprattutto stupore e soddisfazione rispetto a una descrizione mediatica della nostra professione con risvolti positivi.
La risposta che ho subito condiviso con tutti coloro che mi hanno scritto è stata la forza del lavoro integrato di rete, sì perché se mercoledì scorso insieme all’educatrice del Servizio Educativo Territoriale, siamo corse a casa di Giacomo, è stato il risultato di un enorme lavoro che da quasi sei anni abbiamo avviato e costruito giorno dopo giorno con questa persona.
Giacomo non è un anziano, ha soltanto 55 anni e vive da solo in un alloggio ERP (Edilizia Residenziale Pubblica). Appartiene a un nucleo familiare storicamente in carico ai servizi e con una storia di fragilità sociale e sanitaria, seguita da diversi servizi e da svariate figure professionali socio-sanitarie.
Giacomo vive un momento di grande disagio e di solitudine, quando nel 2021 si separa dalla moglie, da sempre suo unico e solo punto di riferimento che lo ha seguito e fin lì organizzato tutte le sue dimensioni di vita.
Da questo momento Giacomo si affida in toto al Servizio Sociale Territoriale con cui inizia a intraprendere un percorso finalizzato al raggiungimento della sua autonomia, si aggancia in modo significativo alla mia figura e a quella della sua educatrice che in passato lo aveva già seguito.
Entrambe, supportate da altri operatori che avevano conosciuto Giacomo nell’ambito di altri percorsi, realizziamo la totale assenza di rete amicale e familiare che lo caratterizza e valutiamo l’importanza e la priorità di accompagnarlo, gradualmente, nella ri-costruzione della sua vita relazionale e verso l’autonomia socio-abitativa e probabilmente lavorativa.
Come assistente sociale di un piccolo Comune, di soli 2500 abitanti, la solitudine professionale spesso sfiora alcune giornate o momenti particolari del mio fare quotidiano. Quando da sola ascolto o vivo un giorno dopo l’altro le vite complesse delle persone, ma, di contro, rispetto ad altri contesti urbani più estesi, ho anche la fortuna di conoscere e seguire con una grande lente di ingrandimento le storie, le abitudini, i legami le paure, le risorse di ciascuno di loro.
Uno strumento significativo che ha contribuito a superare la dimensione della mia solitudine professionale è stata la possibilità di poter condividere la situazione di Giacomo all’interno di un Tavolo multiprofessionale che tutti i mesi si svolge nel nostro Distretto – condotto e costituito da figure diverse e complementari afferenti l’AUSL (Serd.P e CSM) e dei Servizi Sociali comunali – che tratta la fragilità adulta in un’ottica integrata, individuando e costruendo percorsi combinati attivando le tante professionalità coinvolte che, ciascuna con il proprio ruolo, mettono in atto azioni mirate su specifici obiettivi e che rafforzano e valorizzano le risorse nascoste delle persone fragili.
Così è avvenuto nel caso di Giacomo la cui situazione era fortemente caratterizzata da fragilità, complessità e solitudine. Il coinvolgimento di più servizi afferenti il Tavolo di lavoro, nel corso di questi anni, ha permesso di progettare e monitorare periodicamente le microprogettualità attraverso l’apporto di più figure professionali coinvolte (assistente sociali- educatore – psichiatra)
In seguito a un breve periodo di accoglienza in un contesto comunitario, Giacomo è ritornato nel territorio presso un alloggio ERP, iniziando, per la prima volta, un’esperienza abitativa autonoma.
Da circa due anni ha iniziato a svolgere un’esperienza di tirocinio contribuendo alla gestione del verde di alcune zone del Comune. Ricordo ancora l’emozione provata da Giacomo il suo primo giorno di lavoro, ma ammetto anche la mia e quella del suo educatore che immortalammo quella giornata anche con una foto.
Finalmente, dopo tanti anni, Giacomo si sentiva una persona ancora capace di fare qualcosa di utile anche per il Comune e per i cittadini.
Diversi sono stati i feedback positivi avuti dal tutor, dall’educatore e anche dal Sindaco per la sua precisione e attenzione che prestava per garantire la pulizia delle strade affidategli.
Negli ultimi mesi Giacomo, però, ha cominciato a manifestare diversi malesseri fisici che, costantemente tenevamo monitorati, anche grazie al continuo supporto della figura dell’ amministratore di sostegno e del suo medico curante. Sono cominciate diverse assenze e diverse telefonate in cui segnalava alla rete degli operatori che le condizioni di salute, divenute più cagionevoli, gli impedivano di lavorare.
Il monitoraggio costante, quasi quotidiano con il team degli educatori e con l’amministratore di sostegno ci ha aiutato a conoscere abitudini e attenzioni verso Giacomo e mercoledì mattina 22 gennaio ha permesso a tutti i componenti della rete di intravedere un campanello d’allarme alle mancate risposte al telefono.
Entrare nella vita delle persone attraverso l’ascolto attivo, costante, in alcuni casi ci permette davvero di salvarle…Giacomo rispondeva sempre al suo telefonino e se non lo faceva subito, entro massimo cinque minuti ti richiamava e ti richiamava ancora finché non rispondevi.
Il giorno prima una vicina di casa aveva informato un educatore di averlo sentito che non stava bene “Era arrabbiato…lo abbiamo sentito urlare”, ci aveva riferito. L’ho sentito telefonicamente per sapere come avesse trascorso la notte, mi ha detto che non riusciva a dormire e che avrebbe provato a farlo durante il giorno. Abbiamo chiuso la telefonata accordandoci che il giorno dopo sarebbe andata l’educatrice e il giorno dopo ancora io con l’educatore.
L’attività di continua manutenzione della rete, non solo quella professionale, ma anche della comunità, se vissuta in modo attivo dalla nostra figura, ci consente di co-costruire dei legami e delle relazioni di co-responsabilità con la cittadinanza per contribuire, a piccoli passi, a superare e lavorare su forme di fragilità e solitudine sempre più diffuse, come nel caso di Giacomo.
L’assistente sociale da sola non “può salvare” come ha incredibilmente titolato il giornale, né può essere quella contro cui si punta il dito, come invece in troppi – media, politici e commentatori da salotto televisivo – amano fare.
Insieme ad una comunità più attiva e co-responsabile, forse possiamo davvero contribuire a “salvare“, nell’accezione più larga possibile, tante vite.
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V.P. Emilia Romagna