Enea, gli altri e i samaritani da social. Ci ospita Huffington Post

In questi giorni si parla, per l’ennesima volta a sproposito, di infanzia e di genitori.

Un Paese il nostro così amante delle famiglie che neanche la pubblicità trova utili per vendere, un Paese e una politica sempre pronti a rappresentarsi come “Italiani brava gente” e a non voler accettare la complessa realtà del mondo che ci circonda.

Quel popolo che è pronto a urlare al rispetto delle norme, ma che poi non è in grado di garantire la riservatezza dovuta dalle stesse leggi che già ci sono.

Ci si lava la coscienza facendo i tribuni da social laureati all’università della vita, trattando una storia umana delicata – Enea e non solo – come un’offerta sul web per una coppia di bengalini.

Ma la verità è un’altra.

Ogni anno sono centinaia, qualcuno arriva a contarne 3000 – i dati non sono ufficiali e sono diversi – i bambini non sono riconosciuti, per 3000 o centinaia di motivi diversi. Soltanto ieri la tv – ma anche i quotidiani e soprattutto i siti – che evidentemente ha scoperto ora questo filone narrativo, dava notizia di due casi di bambini non riconosciuti.

I servizi, gli assistenti sociali e i tanti professionisti coinvolti, devono fare di tutto, e lo fanno spesso in condizioni non facili, per garantire alle persone la piena fruizione dei loro diritti.

Ribadiamolo, centinaia all’anno e non tre in sedici anni, che sono i soli casi avvenuti alla Culla per la vita del Mangiagalli.

E la soluzione non è il sensazionalismo fuori dall’ospedale, ma incrementare aiuti e strumenti per far sì che le persone possano autodeterminarsi nella maniera più opportuna e più tutelante per loro stessi e per le vite che da loro dipendono. Perché, in momenti così delicati, avere strumenti diventa ciò che separa la favola a lieto fine dalle pagine di cronaca nera.

Siamo sufficientemente vecchi per ricordare altre storie di bambini che hanno mosso milioni di cuori per un paio di settimane. Ma la domanda nasce spontanea: perché parlare con questi toni di questa situazione quando sappiamo che ogni anno ne esistono centinaia non note?

Il sospetto è il solito, meglio parlare di questo autorappresentandoci samaritani da tastiera piuttosto che discutere delle cose serie che dovrebbero impegnare nel quotidiano gli adulti di questo Paese.

Un quotidiano che nei nostri uffici vede nascere sorrisi e lacrime. Accade in spazi protetti, nella totale riservatezza, in un modo che aiuti le persone a restare a contatto con le proprie emozioni, a cercare strade possibili, a prendere le migliore scelte che quelle donne e quegli uomini possano sostenere.

Scriviamo tardi di questa storia perché avremmo preferito non parlarne, nel rispetto di quella privacy che il “Bar Italia” non ha saputo e non sa garantire.

Lo facciamo per ricordare a tutti che, invece di giudicare, dovremmo capire quali tutele dobbiamo dare alle persone, se siamo disposti a cambiare le cose investendo sulle opportunità da dare a tutti e smettendola di pensare ad un Welfare moralistico da 1800.

Non faremo l’ennesima lista di dati che mostrano come in Italia non si investa sull’infanzia e come si rischi di perdere milioni di investimenti sul PNRR e sul programma Child Guarantee.

Suggeriamo, invece, una riflessione sul ruolo degli adulti – tutti gli adulti – in questa vicenda. Chiediamoci se la maturità e civiltà di questo Paese si debba misurare sulla disponibilità online all’adozione o sulla capacità di esserci a difendere i diritti di bambini e genitori da tagli e ideologie di parte.