
Da più di venti anni sono un’assistente sociale, mi sono sempre occupata di famiglie e persone di minore età in area tutela.
Per tanto tempo ero stata sempre lontana dai temi della disabilità perché trovavo che non sarei stata capace fino in fondo di dare il meglio di me in situazioni che riguardassero questo problema. Ne parlavo con i colleghi che cercavano di convincermi a entrare anche in questa area. “Ma perché no? – mi dicevano – I percorsi sono quelli chiari, precisi e già definiti”.
Ecco, appunto.
Ma nel 2019 l’ente per cui lavoravo mi inserisce in una formazione obbligatoria promossa dalle associazioni di persone con disabilità e dunque divento referente dell’area disabilità. Riprendo a studiare, a formarmi, inizio a sentir parlare di servizio sociale antioppressivo e contestualmente incontro le storie di tante e tanti giovani con disabilità e scopro che, proprio come ognuno di noi, desiderano viaggiare, studiare, andare a vivere da soli, innamorarsi e tanto altro.
Inizio quindi a pormi la domanda: come faccio ad applicare tutto questo al mio lavoro quotidiano? Come posso, in percorsi sempre così troppo rigidi, accompagnare le persone e le famiglie nella costruzione dei loro progetti di vita?
Oggi con le Riforme in corso tutti ne parlano e in tanti credono che con il solo riempimento di nuove schede o di nuovi moduli lo stiano già facendo. Nel mio lavoro lascio spazio all’altro, ai suoi sogni, ai suoi desideri, senza giudicare e metto in atto servizi e sostegni orientati al raggiungimento di quegli obiettivi che la persona definisce. È facile? Tutt’altro. Siamo talmente tanto abituate ad adattare le persone ai percorsi standardizzati, e non viceversa, che facciamo fatica, tanta, quanta ne fanno le persone che non sono abituate ad avere questa possibilità.
E allora mi rendo conto che con la formazione, l’esperienza, l’accompagnamento alle persone con disabilità sta cambiando il mio sguardo sul mio agire professionale. Riscopro un altro tipo di “potere”, recupero la responsabilità di accompagnare le persone in un modo diverso, mi sento un “artigiano” del servizio sociale, cerco di costruire quell’abito sartoriale che si adatta alle misure della singola persona.
Metto a fuoco con soddisfazione che ogni giorno, abbiamo l’opportunità di mettere in atto quel ruolo politico di cui parla il Codice Deontologico.
I problemi e le questioni aperte sono tante: risorse economiche ed umane scarse, tempo sempre troppo poco per accompagnare le persone con il rispetto dei loro ritmi, carichi di lavoro inadeguati…
Ma nella complessità dei servizi, ogni giorno scelgo, come tanti miei colleghi, di lavorare così, perché si può fare. Come comunità professionale lo vogliamo fare, perché è l’occasione per rispondere a quello che le norme già da troppi anni ci chiedono ed è un modo per far valere i diritti delle persone.
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E.T. Toscana