All’origine delle più grandi tragedie nella storia dell’umanità ci sono razzismo, xenofobia e intolleranza. Lo ricordiamo oggi, mentre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale. Ancora oggi sono la causa di tensioni, conflitti e guerre. Sono le discriminazioni che penalizzano le minoranze, che umiliano intere etnie, che emarginano gli ultimi e i più fragili, che alzano muri e costruiscono barriere, che erigono categorie di superiorità etnica sulla base di odiosi pregiudizi. La discriminazione su base razziale, così come ogni altra forma di discriminazione, alimenta l’odio all’interno delle società e tra i popoli, impedendone la pacifica convivenza, lo sviluppo e il progresso.
Mentre è solo nella pace, nella reciproca conoscenza e nell’accettazione delle diversità che si cresce e si progredisce. Abbiamo tutti il dovere di partecipare ad una vera rivoluzione culturale che promuova l’inclusione, l’unità e il rispetto di ogni forma di diversità. Compito di noi Assistenti sociali è operare senza alcuna discriminazione. E più ancora siamo proprio noi chiamati a impedire che le diversità possano trasformarsi in pretesto per la negazione dei diritti sanciti dalla nostra Carta costituzionale. E con il nostro impegno, dall’ ascolto e dall’ accettazione della diversità, proviamo a trovare i percorsi migliori a garantire a ciascuno equità e giustizia sociale.
Povertà, disabilità, malattia, solitudine possono infatti rappresentare occasioni di discriminazione, se non ascoltate o peggio stigmatizzate come colpe. Tutto ciò che è difforme, diverso, irregolare viene troppo spesso percepito come una possibile minaccia, come un pericolo, come una mancanza grave. E’ così che si alzano barriere, si acuiscono i problemi, si rende più difficile la convivenza.
Istituzioni, Politica, Amministrazioni e società civile: siamo tutti chiamati a concorrere perché la discriminazione razziale e ogni altra forma di ghettizzazione siano eliminate. Perché a ciascuno sia concessa la possibilità di cambiare le proprie condizioni di fragilità, povertà, isolamento e gli sia possibile aspirare ad una vita migliore, per sé e i propri figli.
Noi assistenti sociali siamo in prima fila.