Violenza subita o assistita. Il nostro difficile ruolo a fianco di donne, figlie e figli. Parliamone

Tra la Giornata mondiale dell’infanzia e dell’adolescenza (20 novembre)  e la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne (25 novembre), a Reggio Emilia, abbiamo organizzato il convegno: ““Cosa stai facendo alla mia mamma?” Figlie e figli di uomini autori di violenza: i vincoli, le complessità e le risorse del sistema dei servizi”.

Abbiamo scelto un bel posto, la Sala degli specchi del teatro Valli anche pensando al fatto che, come assistenti sociali, affrontiamo temi che evocano sofferenza e dolore , spesso associati al brutto. La bellezza ha in sé un valore curativo, una cura che viene negata a chi quelle violenze le vive sulla propria pelle.

Ho fortemente voluto che parlassimo di violenza subita e assistitita e ho avuto la possibilità di organizzare l’evento insieme alla Associazione Nondasola (che gestisce il centro Antiviolenza della nostra città) e alla Cooperativa Madre Teresa (impegnata in comunità per mamme con bambini).

La domanda che abbiamo scelto per il titolo mette bene in evidenza il posizionamento del nostro servizio ed evoca precise responsabilità.

Nella giornata, grazie ai preziosissimi spunti dei relatori, questa domanda è diventata una domanda che abbiamo fatto a noi stessi, come parte di un sistema che ha il compito di tutelare le donne vittime di violenza e i figli e le figlie che sono vittime di violenza assistita.

Come emergeva anche nella ricerca condotta da CNOAS e FNAS sulla qualità del servizio sociale in tutela minori, è bene che ciascun professionista sia consapevole del potere che esercita in queste e in altre situazioni.

Gli ultimi anni sono stati particolarmente faticosi per i nostri servizi, abbiamo affrontato  l’onda mediatica conseguente alle indagini dell’inchiesta “Angeli e demoni” che ci ha coinvolto in modo estremamente feroce e poi, come in ogni angolo del Paese,  abbiamo fatto fronte alle mille emergenze che la pandemia ha messo in evidenza facendo crescere l’isolamento di molte donne e bambini che nelle loro case vivevano situazioni violente.

Le segnalazioni e le richieste di indagine sono in aumento e i servizi sociali si trovano ora più che mai a vivere una forte pressione tra quelle che sono le esigenze di protezione delle donne e la tutela dei bambini e le istanze relative al diritto alla bigenitorialità. Un delicatissimo equilibrio che ci chiede di nominare e riconoscere la violenza, ma al contempo di valutare le capacità genitoriali di entrambi i genitori, vittima e carnefice.

Di fronte alle istanze di avvocati delle parti, consulenti tecnici d’ufficio, decreti che sembrano limitare la competenza del servizio sociale non è facile agire consapevolmente la competenza professionale che come assistenti sociali possiamo/dobbiamo spendere.

Anche l’integrazione sociosanitaria e quindi lo spazio dell’equipe multidisciplinare non sembra, talvolta, uno spazio in cui ci si confronta alla pari.

Quindi il convegno ha rappresentato una tappa importante di un cammino che va nella direzione di rafforzare conoscenze e competenze per poter meglio affrontare situazioni di violenza di genere e di violenza assistita.

Il primo passo infatti è avere lenti per poter riconoscere e nominare la violenza.

La Commissione parlamentare sul Feminicidio e sulla violenza di genere, indagando sulla vittimizzazione secondaria ci ha rivelato che la violenza spesso è invisibile agli operatori e che a volte, se anche è vista, non entra a pieno titolo nei progetti di sostegno.

Questo cammino per il nostro servizio è partito da qualche mese con l’istituzione di un gruppo specialistico che è composto da un’assistente sociale esperta per ogni equipe di lavoro, da operatrici del centro antiviolenza e dall’esperto giuridico per garantire a tutto il servizio supervisione e confronto sul tema.

 

Questo convegno ci ha dato spunti e suggerimenti interessanti, perché nel nostro campo l’errore più grande che si può fare, è quello di non cambiare.

 

Germana Corradini. Emilia Romagna