
Mascherine, tamponi, posti letto, disinfettanti, guanti, rianimazione, ventilatori, positivi, negativi, quarantena, tocilizumab, isolamento sociale, morti, guariti, pazienti Covid, pazienti no Covid.
Queste sono solo alcune delle parole più frequenti che rimbombano nella testa della maggior parte di tutti noi in questi giorni.
Sono giornate veloci e frenetiche quelle che si vivono qui in ospedale, in questo lento e interminabile periodo di emergenza sanitaria, in cui gran parte del mondo fuori da queste mura si è fermato.
Sono giornate in cui dalla finestra sempre aperta per ricevere aria pulita, si avverte il costante frastuono delle ambulanze, alternato alle volte, dal rintocco delle campane della chiesa vicina che, per chi crede, dona un po’ di conforto.
Sono Assistente Sociale Specialista, e lavoro in un Servizio Sociale Ospedaliero (SSO).
In un ospedale che non è più lo stesso, in un ospedale quasi completamente vuoto, nel quale i reparti dedicati alla degenza dei “pazienti puliti” sono stati accorpati in un’unica area, mentre tutto il resto della struttura è divenuto, ormai da settimane, Ospedale Covid–19.
Con prepotenza questo virus si è aggiunto alle problematiche sociali delle persone fragili che già quotidianamente giungono al SSO, creando nuovi bisogni e necessità anche a persone che prima di questa emergenza sanitaria non avevano mai beneficiato del supporto di un Assistente Sociale.
Ancor di più in questi giorni si è chiamati ad ascoltare, supportare, prendere in carico e orientare singoli e famiglie, nell’offerta dei servizi disponibili.
Si esercita la professione, accanto a medici e coordinatori, che chiedono il supporto del Servizio Sociale per favorire la dimissione del paziente problematico, per rintracciare l’eventuale familiare ed informarlo sulla presenza improvvisa in ospedale del proprio caro, o per organizzare la tumulazione di un senza fissa dimora. Si prendono in carico casi sociali:
di figli, alle volte minori, con entrambi i genitori ricoverati in ospedale,
di ragazzi rimasti orfani,
di mogli intubate in rianimazione che non sanno dell’avvenuta morte del marito,
di disabili rimasti soli in casa perché il familiare-tutore è deceduto improvvisamente a domicilio senza neppure giungere in ospedale,
di familiari che non riescono a reperire e consegnare biancheria utile alla degenza del proprio caro perché i negozi sono chiusi o perché loro sono in quarantena,
di fratelli che hanno perso per sempre uno di loro senza l’occasione di un ultimo saluto, senza l’opportunità di portare in obitorio un vestito, in questi giorni non più necessario, per la sepoltura.
Familiari che minacciano telefonicamente di denunciare te e l’ospedale perché non sono ancora rientrati in possesso degli effetti personali del proprio caro, ai quali tu operatore, dopo averli ascoltati e rappresentato loro tutta la tua solidarietà (pensando anche intimamente che forse questo Covid, non ci cambierà più di tanto), ne assicuri la riconsegna.
In questo periodo, si lavora sette giorni su sette, senza più orari e senza risparmiarsi in collaborazioni che esulano delle proprie competenze specifiche, nonostante la paura di tutto, anche quella di respirare.
Al lavoro ordinario dell’Assistente Sociale, comprese anche le attività che spesso vengono svolte in situazioni di forte rischio, questa volta si è aggiunto qualcosa di meno frequente, “la paura costante”.
In questi giorni non si interviene aiutando persone vittime di una situazione ormai conclusa, come ad esempio capita durante le catastrofi ambientali, dopo le quali si contano i danni e si prova a ripartire ricostruendo le identità ferite.
Il Covid-19 rappresenta una minaccia incessante che “può colpire anche me, all’improvviso, mentre tendo la mano per aiutare qualcuno”.
Anime stanche, esasperate, incredule, persone che è indispensabile ascoltare e alle quali bisogna lasciar comprendere che non verranno lasciate sole.
#nonstaandandotuttobene, ma come Assistente Sociale di un Servizio Sociale Ospedaliero, nonostante la paura e il forte carico emotivo, continuerò a lavorare sul campo, al servizio degli altri per tutelare le persone più fragili, secondo i principi e i valori del Servizio Sociale, per fronteggiare questa emergenza sanitaria finché non sarà conclusa.
V.B. Abruzzo
Le storie pubblicate sono testimonianze dirette o raccolte, di vicende personali e/o professionali degli assistenti sociali. Non hanno la pretesa di essere esempi universali, né di suggerire soluzioni, ma di raccontare, per chi scrive, cosa significhi questo lavoro. Anche in questi difficilissimi giorni.