“Sbatti l’assistente sociale in prima pagina”. Consapevoleza, rabbia, reazione. Una lettera

Tre assistenti sociali per un libro. Tre donne che raccontano 20 anni di “professione d’aiuto” all’interno del servizio sociale livornese. Tre capitoli: “Le lettere”, “Le favole vere”, “Le nostre emozioni”. Questo è “Dietro le quinte” – scritto da Nedi Amadori, Loredana Bertagni, Laura Passerai – 196 pagine che attraversano la pratica del lavoro di assistenti sociale, tra riflessioni, denuncia, comunicazione empatica, emozione.
Abbiamo scelto una lettera che racconta la consapevolezza di aver fatto il proprio dovere e poi la frustazione, la rabbia, la reazione provate quando si viene sbattuti in prima pagina: “E’ come essere picchiati e non avere la possibilità di potersi difendere”.

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Ai colleghi, ai responsabili, al Presidente dell’Ordine

 

È tutta l’estate che sono sotto pressione, che vedo “sbattuto in prima pagina” il lavoro che, io e altri colleghi, abbiamo svolto a lungo, con coscienza e responsabilità, dopo attente analisi e valutazioni.

Poi con un niente, in un attimo, tutto amplificato, trasformato, distorto, lì, sul giornale.

Esci dall’ufficio e vedi lì, sulla locandina dell’edicola, le foto di persone che conosci bene, quei titoli terrificanti, ingigantiti per fare cronaca, per fare sensazione.

In un attimo, a livello delle emozioni, è come se tutto si annullasse. La rabbia. Cerchi di non guardare quelle locandine, cerchi di andare avanti, dicendoti non è niente perché è su un altro piano che si guardano e si prendono le decisioni. Tutto questo non avrà peso, cerchi di razionalizzare, fai appello alla tua teoria, alle tue certezze.

Ma non è facile. È come essere picchiati e non avere la possibilità di potersi difendere.
Vorresti dire non è vero, che non è così.

Ma c’è il rispetto delle persone, delle loro storie, il segreto professionale, la paura.

Tutte le mie energie personali e professionali impegnate a  tenere, a cercare di far fronte alla situazione, alla forte pressione, ad andare avanti, a superare l’impatto emotivo.

Professionalmente ti ripeti, ho agito con responsabilità. Emotivamente, ti dici, non è tua la colpa del dolore di quei bambini che hai cercato di tutelare. Non sei tu la causa primaria del loro dolore, ma non è facile quando è proprio sugli operatori che cercano di farla ricadere.

E le famiglie di quei bambini? Ho responsabilità, per il lavoro che ho scelto,  di  andare a vedere, di mettere le mani dove c’è il dolore, dove c’è “sporco”.

Mi riconosco la responsabilità di denunciare il dolore che vedo, ma non è facile.

Tutta l’estate in silenzio, il mio silenzio, tutta impegnata a reggere la situazione e a ripetermi non posso, non riesco a reagire, non so come.

Poi stamani, dopo l’ennesimo articolo sul giornale e la notizia del nuovo Giudice garante per i minori, faccio quattro chiacchiere con la mia collega, compagna di banco.

Parliamo, basta, si deve reagire. Lei dice :“è un po’ come essere delle streghe, lasciate sole in mezzo alla piazza”. Questa frase è stata decisiva. E allora potremmo cominciare a dire “le streghe sono tornate”.

La voglia, la forza di reagire. ci deve essere una possibilità, una strada.

La prima strada che ho trovato è stata quella di far uscire quello che ho sentito e che sento. La rabbia. Far uscire la rabbia dalle quattro mura dell’ufficio, dagli interminabili quanto inutili sfoghi con le colleghe.

Ho scritto quello che ho sentito. Questa è una reazione, la mia.

Esistono, me lo auguro, anche le reazioni a catena.