Trentanni dopo…questo non è ancora un Paese per bambini

Il 20 novembre 1989 fu approvata dalle Nazione Unite la Convenzione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ratificata dall’Italia nel 1991. In essa furono sanciti principi e norme internazionali per l’affermazione, nel mondo, dell’interesse superiore del minore, in tutte le situazioni che lo riguardano.

 

A che punto siamo?  Ancora lontani. Lo eravamo prima della pandemia, lo siamo ancora di più oggi, dopo quasi due anni di diffusione del virus. In Italia, un bambino su sette, durante l’anno dell’emergenza sanitaria da Covid-19, ha vissuto in condizioni di povertà. E come sempre il panorama è difforme tra Nord e Sud: in Trentino Alto Adige meno di un minore su dodici vive in povertà relativa, contro l’uno su tre della Basilicata e della Campania. Ma su tutto il territorio nazionale insiste in modo uniforme un’altra differenza, quella tra i bambini italiani e i bambini stranieri che più spesso dei loro coetanei vivono in condizioni di fragilità economica. Una uniformità quella del dato nazionale che rivela, per paradosso, una profonda disuguaglianza tra bambini che siedono, insieme, nelle stesse aule, che frequentano gli stessi campi sportivi, che vivono negli stessi quartieri.

 

Così è anche per l’istruzione. Nel nostro Paese l’abbandono scolastico prima del diploma riguarda il 13% degli studenti e i più penalizzati sono, da sempre, i figli delle famiglie con minore potere economico, non in grado quindi di far fronte alle difficoltà o alle emergenze.

Emergenze come il prolungato periodo di lockdown che non solo ha causato la sospensione delle lezioni, ma ha messo in evidenza ancora una volta che le differenze di reddito delle famiglie incidono in modo drammatico sul futuro delle bambine, dei bambini e degli adolescenti italiani. Non sappiamo infatti quanti di loro non hanno potuto, per mancanza di mezzi e strumenti idonei, seguire le lezioni a distanza. Resta da sapere quanti sono i minori usciti per sempre dal circuito scolastico anche a causa di questo forzato isolamento. Sappiamo però che spesso, una volta spariti dalle aule scolastiche, finiscono sotto il controllo della microcriminalità, destinasti allo spaccio, al lavoro nero, alla prostituzione minorile.

 

Milioni di volte si è scritto e detto che i bambini e i giovani sono il nostro futuro. E quale sarà questo futuro non è difficile da immaginare, visto che il 23% (il 34% al Sud) dei nostri giovani,  tra i 15 e 29 anni non studia, non lavora e non è impegnato in nessun tipo di formazione. E tutto questo mentre il mondo si avvia ad una vera e propria rivoluzione tecnologica che riguarderà, e sta già riguardano, tutto il mondo del lavoro, per accedere al quale saranno necessarie conoscenze nuove e alta specializzazione.

 

Disuguaglianza è la parola più adatta per descrivere l’attuale stato delle cose, in Italia e nel mondo.  E noi assistenti sociali con la disuguaglianza abbiamo a che fare ogni giorno.  Per cambiare, o tentare di cambiare le cose, dobbiamo realizzare un vero contrasto alla povertà, dobbiamo puntare sui servizi, sulla possibilità di costruire una vera nuova prospettiva che consenta alle famiglie di istruire, proteggere, educare i propri figli.

I finanziamenti europei che riceviamo per fra fronte alla crisi sanitaria si chiamano NextGenerationEU, ossia Prossima generazione europea. E’ un’occasione unica per sostenere il futuro dei nostri bambini e dei nostri giovani, un’occasione che non si ripeterà. Conviene a tutti tenerlo presente.