L’intervista del presidente: “Non dimentichiamoci degli ultimi”

«Sono due anni che tutti dicono che non bisogna lasciare indietro nessuno. Poi però con il Green Pass si limita l’accesso ai servizi sociali. Eppure, si tratta di servizi essenziali». Gianmario Gazzi, presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti sociali, ha parlato di “colpevole ignoranza” per sottolineare come nel Dpcm del 21 gennaio 2022, che ha stabilito le attività essenziali per le quali non è necessario il Green Pass, si sia di fatto limitato l’accesso anche ai servizi sociali, nonostante alcuni di questi siano attività essenziali. «Non siamo mai stati contrari alla certificazione, abbiamo sempre sostenuto la necessità di maggiore chiarezza sull’obbligo. Ma chi assume queste decisioni e scrive decreti dovrebbe ricordarsi che c’è una parte di popolazione che ha delle limitazioni oggettive, di salute, di cultura, di povertà per cui chiedergli la certificazione Covid di fatto diventa un impedimento ad accedere». Gazzi fa l’esempio del senza fissa dimora con problemi psichiatrici, ma anche altre categorie di persone potrebbero avere difficoltà di accesso a servizi fondamentali. Un impedimento che sta costringendo molti operatori a trovare soluzioni alternative per svolgere i colloqui, come uscire dagli uffici e recarsi in un luogo aperto. «Di fatto siamo di fronte ad un intervento normativo che si dimentica un pezzo di popolazione» sottolinea Gazzi, che chiede che nei prossimi decreti si ponga rimedio elencando i servizi sociali esigibili e non soggetti alla normativa del Green Pass.

Presidente, in questo modo si rischia di far mancare l’assistenza proprio a chi ne ha più bisogno…

«Prendiamo una persona vittima di tratta che si vuole rivolgere ad un centro per chiedere aiuto o per avere un buono alimentare. Se applico in modo stringente la normativa, queste persone rischiano di rimanere fuori. Molti colleghi per fortuna si sono attrezzati e escono loro dalla struttura o dal Comune per assisterli».

Voi andate anche nelle case…

«Abbiamo sollevato anche questa questione. Come ci dobbiamo comportare? Per queste persone senza Green Pass vale solo l’assistenza domiciliare? E che succede se uno non ha il Green Pass? Nel Dpcm gli ambiti considerati essenziali sono giustizia, salute e sicurezza ma non c’è mai scritto ‘servizi sociali’. Una grave dimenticanza. È come se ci fossimo dimenticati che ci sono dei servizi sociali classificati come essenziali».

A livello locale come hanno recepito le normative i comuni?

«Ci sono stati comuni virtuosi che nelle pieghe del Dpcm comunque sono riusciti a trovare degli escamotage per non chiedere la certificazione Covid, dato che nella norma si parla di giustizia e tutela dei minorenni e che molti dei miei colleghi lavorano in quel settore. Laddove questa sensibilità non c’è si abdica e si lasciano fuori queste persone».

Ci sono stati casi di colleghi che hanno avuto difficoltà?

«So di colleghi che di fronte a una interpretazione pedissequa del Dpcm non solo hanno chiesto al dirigente di trovare una soluzione, ma sono usciti e sono andati in mezzo alla strada per cercare di fare quello che si poteva fare. Certo, non so quanto un colloquio su una panchina al parco possa essere utile. Se ci dimentichiamo che esistono queste persone, trovo incoerente che mi si dica ‘non lasciamo indietro nessuno’. Chi è indietro è già dimenticato».

Si è derogato a dei principi fondamentali?

«Non sono un costituzionalista capace di dire fino a che punto lo Stato può intervenire sulla limitazione dell’accesso a certi servizi. Credo che se si ha consapevolezza delle situazioni che le persone vivono nel quotidiano, una dimenticanza del genere non è giustificabile. Da un punto di vista etico, deontologico e professionale a queste norme esiste un limite che riguarda chi non è nelle condizioni di comprendere. Pensiamo alle persone con disagio psichico: chiunque si confronti con una persona affetta da paranoia grave sa quanto è complesso. Ci sono delle situazioni che riguardano migliaia di persone che non sono risolvibili dicendogli: ‘non accedi’. Penso anche alle persone che hanno subito violenze familiari. Molte volte queste violenze emergono proprio nei colloqui per l’accesso ad altri servizi. Credo ci sia stata una sottovalutazione. Ci segnala una cultura che si dimentica di una parte di popolazione, quelli che nessuno vuole vedere. Tutti chiediamo decoro nelle nostre città ma poi cosa facciamo se quando parliamo di esigenze essenziali ci dimentichiamo quel pezzo?».

Con il Green Pass si rischia di lasciare fuori gli ultimi…

«Il fatto è che leggendo quel testo le problematiche sono elencate: tutela dei minorenni, incapaci, vittime di violenze, salute, ecc. Solo che poi ci si dimentica che un pezzo di quelle cose viene garantita tramite i servizi sociali del territorio, il terzo settore o altri enti pubblici».

Nei prossimi decreti si potrebbe porre rimedio a questo problema…

«Noi l’abbiamo sollecitato. Chiediamo che il Green pass non sia richiesto per accedere ad alcuni servizi sociali. Nella legge 328 del 2000 tra i servizi considerati livelli essenziali, diritti costituzionali esigibili, c’è per esempio il pronto intervento sociale. In questo momento il pronto intervento sociale non è garantito a tutti. O nel prossimo Dpcm si elencano quali sono i servizi sociali che vanno garantiti come esigibili, senza Green pass, oppure in alternativa si danno delle linee chiare ai comuni rispetto all’interpretazione del decreto in modo che non debba accadere che in un comune il servizio sia fruibile a tutti e in quello vicino no. Serve coerenza delle leggi. A volte ho l’impressione che scriva le leggi non sia mai stato in un servizio sociale».

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