“Lei, tu…Tu, no anzi, lei”? La giusta distanza dell’assistente sociale

Ho sempre avuto il dilemma etico, deontologico, morale ed umano, di quale sia il giusto distacco che l’assistente sociale deve avere nei confronti della persona che si rivolge ai servizi.

Personalmente sono forse un tipo un po’ troppo “friendly”, che solitamente dopo qualche colloquio fatica con il lei e lo mischia con il tu, perché – specie parecchi anni fa, quando ero giovane – sentirmi dare del lei da persone più grandi di me mi spingeva alla classica frase “mi dia pure del tu”, che di norma aveva come risposta “sì, ma anche lei, cioè tu”, il che mi sembrava un giusto punto di incontro.

Dopo tanti anni di lavoro nello stesso Comune, un comune abbastanza piccolo, peraltro, ormai ho quasi esaurito le persone da conoscere, e quindi, con chi ha voluto, siamo passati al tu da diverso tempo.

Il lei, di norma (ma individuarla, la norma, non è semplicissimo), lo riservo ai casi di tribunale più complessi, anche se ammetto che negli anni è arrivato a macchia di leopardo del “tu” anche lì, se condiviso e se lo ritenevo opportuno.

Vi dico la verità: ho spesso invidiato gli inglesi, che con l’approdo ad un misero you universale hanno bypassato il problema, ma al tempo stesso mi sento parlare e ci rifletto ogni volta.
A volte vado col lei con una persona che mi guarda come a dire: “Perché mi dai del lei?”, altre parto in quarta col tu, salvo poi chiedere, in atto di tardiva contrizione: “Ma possiamo darci del tu?” (questo scritto parte proprio da questa esperienza di un paio di settimane fa, quando ho avuto una supervisione e sono scattato con un tu a bruciapelo al supervisore), altre ancora mixo i termini fino a che non ci capisce più nulla nessuno dei due, e a quel punto si cerca il terreno di scambio condiviso. Ho visto anche colleghi dare del tu a ragazzi, che peraltro si guardavano intorno piuttosto smarriti.

Tutta questa riflessione sul tu e sul lei, che oscilla tra dilemma etico e menata, è perché mi sento perennemente alla ricerca della giusta distanza. Ad accorciare per toccare il cuore dei problemi delle persone ed allungare per crearmi lo spazio per guardare le situazioni con equilibrio, ma stando sempre attento che quella giusta obiettività non venga presa come scarso interesse.

Mi chiedo ancora quale sia la lontananza / vicinanza da tenere, e la risposta che mi ha maggiormente soddisfatto è che la giusta distanza è quella che insieme alla persona stabiliamo, perché dare valore ad ogni elemento, anche piccolo, di comunicazione può fare la differenza in un rapporto. Il tu ed il lei come strumenti di lavoro per ottenere il meglio.

È un argomento così apparentemente semplice e così infinitamente complesso che mi piacerebbe sapere come fate voi nei vostri uffici, e come vi trovate nel rapporto con gli altri professionisti, dal medico di famiglia all’assicuratore, dal funzionario di banca all’elettricista.

E comunque, in definitiva, vi ringrazio di aver avuto la pazienza di leggermi.


Federico Basigli – Umbria