La mia prima volta nel Tribunale per i minorenni. Delusione!

Mi guardo attorno e nulla è come pensavo. Varcato l’altisonante portone, tutto è caos, nessuno sa nulla. Affannati impiegati mimetizzati in stanze polverose, stracolme di pratiche, ti dicono che “si, forse, ci dovrebbe essere, attenda in fondo al corridoio.”

Apposti sulle porte, cartelli di fortuna indicano farraginosi orari per il ricevimento e per le telefonate quasi a dire “per favore aiutateci anche voi! Se stiamo sempre a parlare non riusciamo a lavorare!

Mobilia ordinaria, decadente fra cui spiccano sorprendenti pezzi unici carichi di storia e di evocazioni. Pile e pile di carta sulle scrivanie, sulle sedie, sul pavimento, accatastate con ordine … ma pur sempre accatastate.

Attendo, attendiamo. Finalmente il nostro turno. Entriamo in una stanza molto più decorosa delle precedenti, ma una caratterista la accomuna alle altre: l’accatastamento, pile e pile di faldoni, fascicoli, cartelline.

Ci sediamo. Nessuno conosce nessuno, le presentazioni avvengono mentre lui continua a leggere, riassume brevemente la situazione, continua a leggere il fascicolo. Quando si sofferma su affermazioni che mi riguardano, annuisco, se riguardano loro, loro annuiscono.

La situazione è relativamente semplice: l’inidoneità dei genitori naturali è appurata, impensabile un rientro in famiglia. Non ci sono nonni o altri parenti idonei al compito, il bambino ha 9 anni da due vive con la famiglia affidataria.

In questi casi le soluzioni sono due: idoneità all’adozione e il bambino avrà una nuova famiglia oppure la proroga all’affidamento in atto per un periodo molto lungo. Il primo caso comporta un drastico taglio con tutto ciò che è stato sino ad ora ma la garanzia di una famiglia tutta per lui e lo status di figlio legittimo, nel secondo caso la sua storia prosegue in maniera più lineare rispettando la continuità degli affetti,ma proseguirà anche il suo status di figlio “affidato.”

Arriva la domanda del Giudice: “Sareste disponibili per un

affidamento sine die? “Loro se l’aspettavano, ne avevamo già parlato, avevano deciso, risposta affermativa. Il Giudice scrive qualcosa, si alza, esprime lode nei loro confronti, ci dà la mano, usciamo.

Undici minuti in totale. Il destino del bambino è stato deciso. Ripercorriamo la strada a ritroso che stavolta mi è più familiare,

sorridiamo. Li vedo fieri di ciò che hanno fatto sicuri di ciò che faranno, prima d’oggi li avevo visti solo una volta, la situazione mi è stata passata da una collega in maternità.

Ma io continuo a guardarmi intorno. Immagino il giudice con un altro fascicolo in mano, penso a tutti i fascicoli che ho visto quel giorno, ognuno ha il nome di un bambino, di una famiglia, di una storia. Allo stato d’assedio in cui lavorano i giudici, i cancellieri, gli amministrativi a quanto poco tempo hanno per ognuno di quei “fascicoli” alla complessità umana, a quanto è importante ciò che noi scriviamo, come lo scriviamo, come loro lo interpretano. È così poco il tempo destinato al confronto, così determinanti le decisioni che si prendono.

Esco dal Tribunale per i minorenni, da quel luogo da me ritenuto nobile deputato alla giustizia minorile ed alla tutela dell’infanzia. Vi ero entrata stamani per la prima volta mi aspettavo molto, forse troppo. Rifletto, di certo l’aspetto e l’ organizzazione sono tutt’altro che nobili. Ripongo le mie speranze nelle singole persone, ma ho l’amaro in bocca. Saluto gli affidatari con un “Arrivederci ci vediamo giovedì”, loro rispondono sereni “Grazie mille, eravamo preoccupati invece ci siamo trovati benissimo anche con lei, Bert vero?” mi dice l’uomo stringendomi la mano,”Lebert, con la elle” rispondo io sempre sorridendo.

Mancano 40 minuti alla partenza dell’autobus, il Tribunale è a Firenze, 400 chilometri tra andare e tornare. Passeggio nella Piazza antistante Santa Maria Novella, ammiro la Chiesa, l’armonia delle forme dei colori, penso agli architetti alla precisione dei calcoli a quanto lavoro di squadra e coordinamento siano stati necessari. Lo trovo semplice, ordinato, perfetto, chiaro, lineare, preciso, consequenziale, con un inizio ed una fine. Non come il mio lavoro, penso!

 

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Maria Teresa Asti. Toscana. Tratto dal libro “Nessuno è perfetto. Storie di un’assistente sociale di provincia”