
Primo: non siamo pochi! Negli ultimi quattro anni il numero di assistenti sociali iscritti all’Ordine è aumentato di 8700 unità.
Secondo: non c’è il giusto riconoscimento per le professioni di aiuto, qual è la nostra, né programmazione per il futuro che verrà. E ci sono troppe differenze territoriali.
Terzo: RdC prima, AdI oggi, servono le assunzioni, ma serve sempre più competenza.
La presidente del Cnoas interviene alla presentazione del volume “Il reddito minimo in azione. Territori, servizi, attori”, a cura di Cristiano Gori, frutto di un lavoro di ricerca condotto in quattro regioni del nord Italia e finalizzato a comprendere cosa accade nell’attuazione delle politiche contro la povertà a livello locale.
“Le e gli assistenti sociali ci sono – spiega la presidente, numeri alla mano – Non vogliamo sostituirci agli istituti di statistica, ma le dichiarazioni delle e degli iscritti ci dicono che i tassi di disoccupazione dei professionisti arrivano al 20% nelle aree dove non si rispetta il LEP di un assistente ogni 5000 abitanti, ma sfiorano anche il 10% nei territori virtuosi che arrivano anche al rapporto uno su 2500. Ciò significa – spiega Rosina – che non si tratta di carenza di personale ma di una difficoltà nella ricognizione di bisogni, nella progettazione, nella richiesta, nella programmazione e gestione di fondi”.
La presidente ha poi insistito sulla flessione sull’interesse nei confronti delle professioni di aiuto e di cura seguita all’impennata di riconoscimento, almeno a parole, nel periodo della pandemia. “Occorre una spinta a livello nazionale non soltanto per riconoscerle dal punto di vista contrattuale ed economico, ma anche per l’importanza che assumono in un contesto nel quale i trend di invecchiamento e le diffuse fragilità ci impongono di pensare al futuro”.
Reddito di Inclusione, Reddito di Cittadinanza, Assegno di Inclusione… cambiano i nomi, ma l’impegno del servizio sociale professionale per instaurare un rapporto di fiducia con le persone in difficoltà no. Se però, come ci dicono i dati dell’Osservatorio CNEL, ci sono comuni che investono meno di dieci euro pro capite a cittadino contro altri che ne investono fino a 583, cambia il risultato.
“La nuova misura di contrasto della povertà coinvolge in modo importante diverse amministrazioni: dipartimento della giustizia minorile e di comunità, penitenziario, sistema sanitario – conclude Rosina – Si apre quindi, e bisogna sottolinearlo, a contesti nei quali non vi è una tradizione ed una cultura professionale condivisa sul senso degli interventi economici a sostegno del progetti. Se davvero si vogliono garantire i diritti delle persone occorre investire non soltanto sulle assunzioni di personale che possa occuparsi dei nuovi compiti affidati dallo Stato, ma anche sulle competenze degli operatori”.