“Il mandato del Consiglio nazionale che presiedo è quello di arrivare alla riforma della professione dal punto di vista della rappresentanza, delle regole elettorali, della formazione, dell’azione disciplinare, del percorso di laurea, delle competenze, dei tirocini. Difendo strenuamente la necessità che per sostenere l’Esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione nella sezione A bisogna aver fatto anche la triennale in Servizio Sociale. Che non ci siano più laureati alla triennale in Scienze delle Attività Motorie e Sportive, in Statistica, in Tecnologie per la conservazione e restauro dei Beni Culturali che dopo due anni di magistrale, diventano assistenti sociali”.
L’intervento della presidente Cnoas, Barbara Rosina, al convegno realizzato all’università La Sapienza di Roma: “Nuove sfide per il servizio sociale: quali competenze? Un confronto con gli stakeholder per ripensare insieme i percorsi formativi”, è un atto d’accusa a chi difende lo status quo e non fa nulla perché ai professionisti della cura venga riconosciuta l’importanza che hanno per la tenuta del Paese “lo si è fatto soltanto durante la pandemia”, dice.
La sede e la platea del convegno sono l’occasione per rilanciare temi che l’Ordine ripropone ai decisori politici, all’Accademia, ai ministeri competenti, a cominciare da quello della Giustizia che vigila sui professionisti assistenti sociali. “Le nostre richieste – dice Rosina – non hanno nulla di autoreferenziale. Sono un atto di responsbilità verso le persone che si rivolgono a noi e, voglio dirlo, non sono gli eterni marginali, o i cosiddetti divanisti che sperano in un assegno. Chiunque può avere un momento di difficoltà, chiunque può aver necessità di rivolgersi al servizio sociale e qui deve trovare la persona competente ad aiutarlo a uscire da quella condizione o ad affrontarla nel migliore dei modi”.
“Siamo preoccupati come Consiglio nazionale e consigli regionali per i Decreti dello scorso dicembre sul riordino delle classi di laurea – aggiunge – Siamo fuori dagli standard degli altri paesi UE sulla social work education. La declaratoria non riconosce la piena legittimità del servizio sociale sia come disciplina che come professione, parla di ‘contrasto del disagio sociale’, e ‘trattamento socio-assistenziale’ entrambi aspetti non in linea con le richieste normative e con la complessità della nostra società”.
La presidente ha anche ricordato come da tempo venga segnalata la necessità di prevedere un incremento degli insegnamenti di servizio sociale, percorsi di tirocinio come parte integrante della formazione di base e specialistica, docenti e ricercatori qualificati con una formazione specifica di servizio sociale.
“E’ venuto il momento di dirsi con coraggio se i problemi che segnaliamo da anni si intendono affrontare iniziando a parlare di corsi di laurea che formano competenze di servizio sociale e non soltanto cultura generale – ha concluso – o se si vuole mantenere intatta una situazione che ostacola lo sviluppo della disciplina in termini di carenze culturali e strutturali”.