
Ti chiamerò Teresa.
Ti abbiamo conosciuta in una giornata di fine inverno, tra le braccia insicure ed impacciate della tua mamma. Adagiata a pancia in giù su una fredda scrivania, hai alzato la tua testolina come generalmente sanno fare solo i bimbi più grandicelli, sgranando gli occhi sul mondo.
Ti abbiamo inserita, insieme alla mamma, in una comunità genitore/bimbo: lì hai potuto ricevere le cure e gli stimoli che la tua mamma non sapeva autonomamente offrirti, perché era stata la prima a non riceverli e a non poterne fare memoria. Mamma ti voleva bene, di un bene viscerale ed infantile, ma non avrebbe mai potuto occuparsi di te. I suoi due primi bimbi, avuti in giovane età dalla relazione con un uomo violento, erano stati adottati ed il terzo figlio era in affido a parenti in un’altra regione, dalla quale mamma era scappata insieme al tuo papà.
Papà amava la mamma, nell’unico modo che conosceva, ed amava anche te, nell’unico modo di cui era capace. Il suo amore, tuttavia, non era sufficiente a garantire che tu ti sviluppassi nel corpo e nella mente come i bimbi della tua età e che potessi vivere al sicuro.
Un caldo giorno d’estate, su disposizione del Tribunale, l’abbiamo dovuto fare. Tu avevi un vestitino color carta da zucchero ed eri sbucata al mondo solo sei mesi prima, noi ti abbiamo presa in braccio e ti abbiamo assicurata al seggiolino della macchina di servizio, destinazione casa-famiglia, lontano dalla mamma. Hai urlato come un aquilotto per tutto il viaggio, placandoti solo dopo l’ennesima ninna-nanna (Ninna nanna mamma/insalata non ce n’è/sette le scodelle sulla tavola del re/Ninna nanna mamma/ ce n’è una anche per te/dentro cosa c’è/solo un chicco di caffè).
In casa-famiglia sei venuta al mondo un’altra volta, imparando tanto di te e di ciò che ti circondava grazie all’accudimento attento ed ai sapienti stimoli che hai ricevuto. Trascorsi un paio di mesi il Tribunale ha individuato per te una potenziale famiglia adottiva, dopo che la prima non se l’era sentita di accoglierti, spaventata da quella diagnosi psichiatrica che gravava sul tuo papà e da quel certificato e grave ritardo mentale che pesava sulla tua mamma.
Sono venuta a salutarti in casa-famiglia prima che tu spiccassi il volo, regalandoti una bambola di Pippi Calzelunghe, la bimba che anche nelle situazioni più difficili rimane eccezionale, mostrando potenzialità impensabili ed inesauribili.
Buon viaggio.
G.C. Ivrea
Le storie pubblicate sono testimonianze dirette o raccolte, di vicende personali e/o professionali degli assistenti sociali. Non hanno la pretesa di essere esempi universali, né di suggerire soluzioni, ma di raccontare, per chi scrive, cosa significhi questo lavoro. Nelle emergenze nazionali e mondiali e nella quotidianità che, per questa professione, è sempre emergenza.