“Ci siamo stati, ci siamo, ci saremo. Non dimenticatelo domani”

(…)“Oggi non vogliamo essere festeggiati e domani nuovamente dimenticati, chi come noi rappresenta la pelle delle istituzioni, sa che chi si rivolge al sistema dei servizi si aspetta che lo Stato, il Governo, il Comune lo aiutino, sa che abbiamo affrontato e affrontiamo il peso delle morti, dei malati, delle solitudini, della disperazione, sa che la tenuta del Paese e di tutti noi è stata messa a dura prova” (…).

Barbara Rosina, vicepresidente dell’Ordine ha rappresentato oggi a Roma l’impegno degli oltre 46mila assistenti sociali nella Giornata Nazionale del personale sanitario, sociosanitario, socioassistenziale e del volontariato.

Questo il suo intervento

Nei primi vent’anni di questo millennio molte sono state le sfide, le crisi e la necessità di essere resilienti delle e degli assistenti sociali. Non è stato un periodo semplice per nessuno, senza un momento di sosta.

A cominciare dal dover affrontare la crisi finanziaria del 2008, l’aumento della povertà, l’incremento delle vulnerabilità, le difficoltà e la solitudine, siamo stati a fianco di chi ha perso il lavoro, la casa, lo status sociale, il riconoscimento ed il rispetto, e abbiamo lottato contro le più cieche politiche di austerity che colpivano servizi e persone. Abbiamo sperimentato nuovamente l’intervento nelle maxi-emergenze del terremoto che ha ferito il nostro Paese nel profondo.

Per arrivare agli ultimi anni di pandemia in prima linea a tutelare, negli ospedali e nei territori, chi era rimasto indietro, solo, escluso.

Quella causata dalla pandemia è una delle peggiori recessioni economiche degli ultimi 150 anni: l’impatto sull’economia mondiale è stato devastante e non è ancora possibile prevederne completamente gli effetti sul lungo periodo.

La riduzione dei bilanci aziendali ha portato a una riduzione occupazionale e non possiamo non ricordare come la pandemia abbia nuovamente colpito  chi già era in difficoltà ed accentuato la disparità di genere. I compiti di cura sono aumentati e le donne sono state le prime a perdere o a dover rinunciare al lavoro.

Presi alla sprovvista dalla pandemia, non ci siamo mai tirati indietro, ci siamo trovati in prima linea, a fianco di persone colpite più di altre: ragazzini a rischio di abbandono scolastico, bambini rimasti chiusi in casa per un periodo lunghissimo, senza relazioni e senza opportunità, donne vittime di violenza spesso intrafamiliare, tra le mura in cui la pandemia le costringeva, anziani, disabili, senza dimora, persone che hanno problemi di salute mentale o che vivevano per strada hanno visto aggravarsi la loro condizione. Tanti che già vivevano situazioni problematiche e tanti che improvvisamente si sono trovati in difficoltà.

Lo segnalavamo da anni ma c’è voluta la tragica esperienza della pandemia da Covid-19 per rendere chiaro a tutti, proprio tutti, a cominciare dai decisori politici, che la salute non è soltanto sanità – anche quella immiserita da anni di tagli e privatizzazioni – ma anche assistenza domiciliare, ascolto, aiuto, protezione. Senza sociale non c’è salute.

Da tutto questo abbiamo appreso tanto. Abbiamo rimesso in moto una riflessione sulle competenze e sulle ricadute etiche e deontologiche nel nuovo millennio.

Nei trent’anni dalla costituzione dell’Ordine anche la vita ordinistica ha cambiato la sua fisionomia. La consapevolezza delle grandi emergenze che il Paese ha affrontato e sta affrontando ha acuito il nostro spirito di corresponsabilità, la responsabilità che sentiamo è ancora maggiore.

In primo luogo, verso le persone, con le quali quotidianamente costruiamo progetti che sappiano intercettare non solo i bisogni materiali, ma soprattutto percorsi e buone pratiche per promuovere dignità, inclusione e giustizia sociale con e nelle comunità così fortemente provate da anni di crisi.

Tanti sono i passi avanti fatti nelle politiche del nostro Paese in termini di investimenti e di politiche: dall’istituzione di un reddito di ultima istanza, alla progressiva introduzione di livelli essenziali attesi da oltre 20 anni, al rimettere al centro del dibattito temi come non autosufficienza, integrazione sociosanitaria e salute mentale. Tanto è ancora da fare.

La pandemia ha reso chiaro anche a chi, in tutti questi anni non ha voluto vedere: salute non significa soltanto assenza di malattia. Se non c’è comunità, se non si agisce in equipe multidisciplinari, se si lasciano sole le persone guarite, se, in una parola, manca il sociale, lo è stato durante e sarà, dopo il Covid non ci sarà un’Italia migliore.

In dieci anni abbiamo assistito al dimezzamento del numero degli assistenti sociali nel comparto sanitario e la pandemia, qualora non ce ne fossimo accorti prima, ha resto chiaro a tutti quanto sia importante il sociale a fianco della sanità.

L’integrazione è lontanissima, anche se qualche passo avanti è stato fatto negli ultimi anni, ma attenzione a non tornare indietro, negli ospedali, nei consultori, negli uffici dove arrivano persone con problemi è centrale il cambio di visione e di approccio per rispondere ai bisogni complessi: dall’erogazione di prestazioni alla costruzione del progetto di vita, la persona con la sua famiglia non è più soltanto destinatario, ma protagonista. Un’innovazione che impegna i professionisti, le organizzazioni pubbliche e gli enti del Terzo Settore.

 

Oggi non vogliamo essere festeggiati e domani nuovamente dimenticati, chi come noi rappresenta la pelle delle istituzioni, sa che chi si rivolge al sistema dei servizi si aspetta che lo Stato, il Governo, Comune, lo aiutino, sa che abbiamo affrontato e affrontiamo il peso delle morti, dei malati, delle solitudini, della disperazione, sa che la tenuta del Paese e di tutti noi è stata messa a dura prova. Sa che siamo qui per segnalare cosa non funziona, disponibili a lavorare per applicare soluzioni che già abbiamo suggerito.

Grazie a chi abbiamo incontrato in questi anni nei nostri servizi, grazie a tutti noi.

Senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali, con pari dignità sociale.