“Affrontare l’emergenza, costruire la presa in carico. Lavoro in un PrInS”

La mia avventura con la professione di assistente sociale potrebbe essere definita alla stregua de “certi amori fanno dei giri immensi e poi ritornano”.

Mi laureo in Giurisprudenza nel 2018 e nel corso del tirocinio di affiancamento ad un magistrato svolto presso il Tribunale di Alessandria (requisito necessario per poter svolgere il relativo concorso) prendo coscienza di una peculiarità di me stessa, fino a quel momento celata: mentre i professionisti con cui quotidianamente mi relazionavo avevano come obiettivo ultimo quello di una corretta e puntuale applicazione della legge, io mi appassionavo alle storie personali e familiari di detenuti o imputati. Riflettevo sulle motivazioni e sulle circostanze della vita che li avevano spinti a commettere un determinato reato e contestualmente ipotizzavo quale fosse in concreto l’aiuto più idoneo ed appropriato che, se ricevuto, avrebbe potuto rappresentare un efficace deterrente nonché l’occasione per affrancarsi da certe situazioni di disagio, bisogno e criticità.

Tutti questi aspetti, unitamente a molti altri, mi hanno consentito di cambiare prospettiva: da organo meramente giudicante a professionista dell’aiuto

A settembre 2022 conseguo la laurea triennale in Servizio Sociale e a novembre  mi abilito alla professione di assistente sociale albo B.

Nei primi mesi dei quest’anno ricevo l’opportunità di collaborare con una  cooperativa sociale  al progetto PrIns in regime autonomo in quanto parallelamente ero impegnata anche come docente di diritto in una scuola di istruzione secondaria. Quando mi sono ritrovata a dover spiegare ad amici e conoscenti in cosa consisteva il mio attuale lavoro sociale mi sono sempre divertita a riportare questa semplice, ma efficace, metafora: “La logica di funzionamento può ricordare quella della guardia medica rispetto al medico di medicina generale. Nel caso in cui nell’arco degli orari di apertura al pubblico necessiti di una visita medica o di una prescrizione medica ti rivolgi allo studio del tuo medico, qualora le stesse emergenze dovessero sorgere durante la sera o la notte fai riferimento alla guardia medica”.

Il servizio PrIns, acronimo di Pronto Intervento Sociale, rientra ad oggi tra i livelli essenziali delle prestazioni sociali a cui tutti gli ambiti territoriali sono chiamati a garantire. Il meccanismo prevede l’istituzione di una centrale operativa – il cui accesso è riservato alle forze dell’ordine nonché al personale sanitario – la quale, attiva 24h su 24 e 365 giorni all’anno, devia automaticamente la chiamata all’operatore in quel momento reperibile. Il fine ultimo di tale tipo di intervento è quello di intervenire in caso di emergenze ed urgenze sociali nonché in tutte quelle circostanze della vita quotidiana che possono insorgere improvvisamente durante le ore in cui gli uffici di servizio sociale risultano “chiuso al pubblico”.

Il lavoro del professionista assistente sociale del PrIns è molto diverso da quello che potremmo dire ordinario. L’emergenza sociale viene gestita solo nella sua fase più acuta dopodiché, qualora la situazione lo richieda e previa relazione finale dell’intervento, sarà cura del servizio sociale territorialmente competente prendere in carico la persona o il nucleo familiare bisognoso. L’operatore, pur svolgendo un ruolo di fondamentale importanza non possiede gli strumenti e nemmeno il titolo per coltivare una relazione duratura con la persona (che a mio avviso rappresenta l’aspetto più bello del lavoro sociale); se il lavoro sociale fa dell’autodeterminazione della singola persona uno dei principali corollari della professione operando al fine ultimo di accompagnare la persona verso una conduzione autonoma della propria vita, l’operatore PrIns agisce in emergenza e il suo obiettivo è quello di dare una risposta efficace ed efficiente nel più breve tempo possibile avendo cura, mediante l’uso di strumenti, strutture e personale, di ridurre lo stato di emergenza sociale nel quale la persona si trova.

Ne discende pertanto che, seppur nella fase dell’intervento rappresenta la figura principale rispetto alla quale la persona destinataria può e deve fidarsi, tale rapporto si dissolve inesorabilmente nel giro di un paio di giorni.

Dal mese di febbraio ad oggi sono stata chiamata ad intervenire in tre casi di emergenza sociale tutti differenti tra loro, ma connotati da un’unica costante: situazioni familiari o personali precarie, a tratti giunte all’apice della disperazione, che ne impediscono l’autonoma risoluzione e in assenza dell’adeguato intervento e presa in carico correrebbero il rischio di cronicizzarsi con conseguenze irrimediabili.

In tal senso, avendo cura di preservare l’identità e la privacy delle persone coinvolte, ricordo con un velo di tristezza la storia di questa ragazzina ancora minorenne che all’uscita di scuola e dopo l’ennesimo screzio con la madre aveva preso la decisione di allontanarsi dalla sua regione di residenza per poi ritrovarsi su un treno sola, senza soldi e portando con sé solamente lo zaino di scuola che aveva dalla mattina. Durante le prime ore della serata venivo contattata dal personale della Polfer che, a seguito della denuncia prontamente presentata della madre della minore, aveva in custodia la ragazza dopo che il personale ferroviario l’aveva rintracciata a bordo del convoglio su cui viaggiava e successivamente segnalata agli agenti della stazione ferroviaria più vicina. Nella stessa conversazione telefonica apprendevo che, stando alla descrizione che la madre ne aveva fatto, che la minore era pericolosa, aggressiva e consumatrice di sostante stupefacenti. Raggiungevo così gli uffici e mi rendevo subito conto di avere di fronte una ragazzina spaventata che con difficoltà capiva il motivo del suo fermo, molto educata e dalla bellezza disarmante. Dopo essermi qualificata le spiegavo che l’avrei accompagnata all’interno di una struttura che l’avrebbe ospitata per la notte e che il giorno successivo sarei andata a prenderla per riaccompagnarla dai suoi genitori. Sebbene la minore si dimostrò abbastanza contenta della soluzione prospettata, durante la tarda mattinata successiva scappava anche dalla comunità in cui si trovava con l’intenzione di raggiungere a piedi la stazione ferroviaria più vicina. Il lavoro congiunto e il costante contatto telefonico con l’ispettore superiore della Polfer ci ha permesso di rintracciare la minore e trasportarla nei locali del pronto soccorso pediatrico all’interno dei quali ho atteso fino a notte inoltrata l’arrivo dei genitori.

Nell’arco delle otto ore trascorse insieme ho avuto modo di approfondire alcuni aspetti della situazione familiare nella quale si trovava caratterizzata da un’alta conflittualità con la figura materna, assenza di quella paterna, promiscuità dei ruoli nonché la scoperta di verità scomode che sono certa avrebbero messo in crisi anche persone più adulte e ben formate. Alla luce delle informazioni raccolte, l’irrequietezza e il costante desiderio di fuga potevano trovare una spiegazione più profonda della “ragazzina che scappa di casa per un semplice desiderio di ribellione”.

Alla fine dell’intervento ha fatto seguito la segnalazione del caso ai servizi sociali territorialmente competenti e qualche messaggio per sincerarmi delle condizioni della minore nonché del nucleo familiare. Come già accennato all’inizio, questo tipo di attività lavorativa è caratterizzata dall’inesorabile dissolvimento del rapporto con la persona nel giro di un paio di giorni e sebbene questa circostanza possa rappresentare motivo di tristezza – come nel mio caso – è comprensibilmente bilanciata dalla consapevolezza che la situazione verrà seguita da un operatore che dispone di mezzi e strumenti per una efficace e duratura presa in carico.

Svolgere la professione al servizio di un progetto quale è il PrIns permette all’operatore di sperimentare differenti ambiti di intervento del servizio sociale e la fugacità del rapporto con la persona lo spinge a trovare la soluzione più adeguata non solo a risolvere la fase emergenziale, ma anche quella più in linea con la scelta che a posteriori verrà effettuata dal servizio sociale competente.

È una sfida costante capace di arricchire ogni singolo operatore non solo professionalmente, ma anche personalmente!


Samantha Lipari – Piemonte