
Le abbiamo viste in prima linea nell’emergenza sanitaria le donne medico, infermiere, assistenti sociali, studiose, ricercatrici, manager, professioniste, giornaliste, politiche…
E sappiamo bene che le donne lavoratrici, sulle quali pesavano già i due terzi del lavoro domestico, si sono ritrovate dalla sera alla mattina a dover aggiungere altre ore per riuscire a seguire i figli e le lezioni da remoto, la gestione del loro tempo libero, la casa e magari anche qualche anziano genitore. Il tutto gestito in smart working e in continua emergenza.
È noto che delle giovani laureate, numericamente la maggioranza, le cui performance scolastiche sono superiori a quelle degli uomini lungo tutto il percorso scolastico, dalle secondarie di primo grado fino al dottorato di ricerca, master o corsi di specializzazione, solo il 18% è dirigente, solo 7 rettori su 84 sono donne, solo il 15% delle donne medico è primario. Dei 23 ministri attuali solo 8 sono donne e nella storia della nostra Repubblica non ci sono mai state donne primo ministro, nessuna donna ha mai avuto la responsabilità di un dicastero economico. In 75 anni di vita democratica tra presidenti, ministri e sottosegretari, in tutto 4864 uomini, si contano solo 319 donne, il 6,56% del totale.
E in tempi di pandemia le cose sono pure andate peggio: dei 444mila posti di lavoro perduti nel corso del 2020, 312mila erano posti occupati da donne, il 98%.
Bastano questi numeri per un’istantanea del Paese. Siamo ancora molto lontani dall’obiettivo 5 della Agenda 2030: “Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”.
C’è poi da fare i conti con il fenomeno del femminicidio, un fenomeno che nel nostro Paese, e nel mondo, continua ad alimentare una scia di sangue spaventosa. Le donne vengono uccise per lo più proprio dentro le mura di casa da padri, fratelli e compagni. Dall’inizio dell’anno sono già 12 ad aver perso la vita per mano di un uomo.
Quante ancora devono essere le donne non credute, trasformate da vittime della violenza maschile in colpevoli, abusate perché in fondo “se la sono andata a cercare”, perché la società, le istituzioni, la politica mettano davvero in campo tutte le risorse possibili per crescere una nuova generazione di donne libere dalla violenza e della discriminazione di genere?
E non è finita qui. Quante sono state -e sono ancora- le donne chiuse in casa durante i lunghi mesi di lockdown, isolate dal mondo ma vicine a compagni, mariti, fidanzati, padri o fratelli violenti? Dal 1 marzo al 16 Aprile 2020 l’ISTAT riporta un aumento del 73%, rispetto allo stesso periodo del 2019, delle chiamate al numero verde antiviolenza. Ma quante sono state le donne che non sono riuscite per paura a comporre quel numero? Conosciamo i nomi, e in parte le storie, delle donne uccise, ma non sappiamo quante sono quelle che vivono nel terrore della violenza. Vediamo la punta dell’iceberg, ma non sappiamo quanto è grande la parte sommersa.
Il nostro pensiero, oggi 8 marzo, come in tutti gli altri giorni dell’anno, va a tutte le donne, alle ragazze e alle bambine. Soltanto insieme a tutte loro potremo costruire un futuro migliore per tutti perché la parità di genere è condizione necessaria per un mondo di pace, di progresso, di sviluppo, di uguaglianza.