Vita di Adele, a lieto fine

Era arrivata una segnalazione scritta dall’assessore ai servizi sociali di un comune.
Richiedeva di verificare la situazione di una ragazza che viveva sola. Il motivo non era stato precisato, si alludeva ad un rischio di emarginazione. L’indirizzo invece era preciso. Il numero di telefono non c’era. Significava che quella ragazza era davvero isolata, non poteva neppure essere avvisata prima di andare a casa sua.
Non è una bella cosa presentarsi a casa di una persona, senza avvisare, senza il consenso, senza un accordo, senza anticipare un motivo, non avendo nulla da vendere.
Avrebbe potuto essere una sorpresa sgradita.
Si chiamava Adele, la data di nascita verificata all’anagrafe diceva che aveva 20 anni.  Poco più che maggiorenne, che cosa sarebbe emerso, non riuscivo ad immaginarlo.
In ogni caso, non sarei andata a casa senza un appuntamento, forse avrebbe voluto farsi trovare in ordine, con i capelli puliti, con la casa riassettata.
Ho chiesto ai vigili del paese di recapitarle un messaggio, in cui avvisavo circa il giorno e l’ora in cui sarei andata.
Avrebbe potuto decidere, sia di non farsi trovare a casa, sia di non aprire la porta.
Sono partita nel primo pomeriggio di un’assolata giornata di maggio (…) La strada era poco frequentata, poi si è ristretta pur rimanendo asfaltata.
L’abitazione era un’unica costruzione rurale, in campagna, nessun cancello, un grande cortile (…) Non c’era neanche un cane per mia fortuna. Ho avuto da sempre paura dei cani degli altri. Ma in quel posto non c’era. C’erano tre porte uguali nella facciata della casa, tutte e tre di legno vecchio, verdi sbiadite dal sole. Senza nomi e cognomi sopra. Senza campanello a cui suonare.
Ho bussato alla prima porta da sinistra. Niente, silenzio!
Ho bussato alla seconda, ho visto una tenda spostarsi dalla finestra, poi una ragazza ha tirato dall’interno un catenaccio cigolante, si è affacciata, aprendo solo dieci centimetri di porta, non ha detto niente, è rimasta dentro casa.
Mi sono presentata, lei ha strizzato gli occhi per proteggersi dalla troppa luce. Non mi ha chiesto di entrare, ho spiegato che mi mandava il comune, le ho mostrato la lettera di segnalazione, ho aggiunto che se avesse voluto, sarei entrata ed avremmo potuto parlare, altrimenti avrebbe potuto venire lei nel mio ufficio. Se nessuna delle proposte le fossero andate bene, ci saremmo salutate, e la storia sarebbe, finita lì.
Ha atteso un po’, a me era sembrato tanto, avevo caldo, soffocavo, mi scendevano gocce di sudore dalle gambe.
Ha aperto l’uscio e sono entrata.  Faceva fresco dentro. Ci siamo presentate, piacere Francesca, piacere Adele. Che mano ruvida, secca, legnosa, che dita dritte aveva proteso, il braccio era rimasto attaccato al corpo, non si era allungato.
Adele aveva un grembiule a fiorellini gialli, che la fasciava, troppo corto sulle ginocchia, lungo dietro, non era un premaman come sarebbe servito.
La cucina era vuota, un fornellino, un tavolo appoggiato al muro, una sedia. La camera da letto era identica a quella vista in un film girato in un monastero. Un letto, di ferro, con la testiera arrotondata, un cassettone, una sedia, un crocefisso appeso al muro.
Biancaneve, era stata più fortunata di lei, a trovare la casetta dei sette nani.
Adele parlava pochissimo, cosa avrebbe potuto dire, era tutto lì.
Viveva sola, aveva parenti che non si interessavano a lei.
Ma uno sì.
“Adele, cosa vorresti fare, se tu potessi scegliere?”
“Niente, ma non posso stare qui”.
“Conosci qualcuno che potrebbe e vorrebbe ospitarti?”
“No”
“Quindi”
“Devi dirmi tu, cosa devo fare!”
“Cosa possiamo fare!”
“Sì!”
Le ho spiegato che c’erano case, che ospitavano ragazze come lei, con le stesse esigenze,  che potevano essere aiutate a portare a termine la gravidanza, senza stare da sole.
Dopo la nascita del bambino, avrebbe potuto decidere come organizzare la sua vita.
Ha risposto che non poteva scegliere.
Adele non era bella, il collo corto, capelli neri tagliati come se le avessero messo in testa una scodella, nessun vezzo femminile, uno sguardo orientato non all’interlocutore ma verso una direzione altra, che ti colpiva le tempie senza centrare il viso, cercava un angolo per vedere ma non guardare.
Neppure la gravidanza ben visibile l’aveva addolcita.
Non sorrideva, non aveva mimica facciale.
Mi ero chiesta cosa avesse di bello, di buono, tutti hanno qualcosa, forse l’avevo trovato quel qualcosa, Adele lasciava fare.
Le ero grata per questo, mi avrebbe facilitato il compito di fare il mio mestiere.
Dopo una settimana, ha fatto ingresso in una casa per donne sole in gravidanza.
Durante uno degli incontri successivi, avevo chiesto ad Adele, se desiderasse parlare di sé, della sua storia, se sapeva chi fosse il padre del bambino.
Nulla, la ragazza era rigidamente ostinata, a mantenere tutti i suoi segreti.
Non desiderava parlare con nessuno.
Adele era ostica, una roccia inscalfibile.
Nessuno andava a trovarla né genitori, né parenti, né amici.
L’unica persona esterna che vedeva con regolarità ero io.
Triste prerogativa.
Dopo un paio di mesi dal primo incontro, Adele ha dato alla luce una bellissima bambina, la natura aveva, nonostante tutto compiuto il suo miracolo.
La mamma aveva scelto di ritornare in comunità, con la neonata, dopo la degenza in ospedale.
Si capiva che si sacrificava, che pativa per avere perso la libertà della sua vita, un po’ troppo semplice per la verità.
Ma pur sempre la sua.
Le altre  madri chiedevano di potersi comprare vestiti, o di andare dal parrucchiere, per tentare di condurre un’esistenza, discretamente sopportabile.
Vivere in una comunità non è semplice, devi condividere con gli altri ospiti l’intera giornata, spazi, pasti, attività di gestione della casa, anche uscire dai confini, deve essere controllato e motivato.
Una sorta di libertà vigilata.
Per avere compiuto quale trasgressione?
Essere gravide, o mamme sole?
Crudele realtà.
Si sa che le  ospiti  delle comunità, sono persone in difficoltà, ciascuna con le proprie ferite, disagi, povertà, soprusi, violenze.
Un concentrato di storie infelici, ma anche condivisione e possibilità di uscirne con un vaccino, efficace agli insulti della vita.
Tutte le ragazze e le donne ospiti delle varie comunità frequentate, erano state malamente o per niente amate.
Adele era stata abbondantemente non amata, come avrebbe potuto inventarsi come coccolare la sua bimba, darle il seno, annusare il profumo di latte e vaniglia, che i neonati emanano?
Farle il bagnetto, guardarla come unico suo gioiello?
Tutto ciò che è naturale per la maggior parte delle madri, per chi non ha ricevuto almeno una piccola dose di felicità, diventa molto ma molto difficile.
La sfida per me era di perseverare nonostante i fallimenti collezionati, a cercare un pregio come distintivo per Adele, ed ingigantirlo, moltiplicarlo.
Anche un difetto sarebbe andato bene, una caratteristica, come quelle pubblicità che enfatizzano un’immagine sgradevole, per renderla visibile, indimenticabile.
Adele, non era carina, Adele era sola, non poteva contare su nessuno, anzi veniva evitata.
La sua bambina era molto bella e sana, forse, se avessimo puntato sulla bimba e non sulla madre, avremmo potuto aiutarle entrambe.
Così abbiamo cominciato a gratificare Adele, per come avesse messo al mondo, una così bella creatura.
Abbiamo affiancato la madre ad una volontaria, una signora che avrebbe potuto essere la madre, aveva del tempo da dedicare, e voglia di tenere in braccio una bambina.
Adele è stata alleggerita dal prestare le cure alla figlia, per lei era troppo imbarazzante    ed umiliante, occuparsene.
In cambio le è stato proposto di frequentare un corso di formazione, per pasticceri e panificatori.
Adele andava a scuola, e la “nonna acquisita” accudiva la neonata.
La futura fornaia si è diplomata a pieni voti, ed ha trovato subito un lavoro da turnista, presso un forno locale.
Nel frattempo, la sua bimba era cresciuta bene, e stava con la madre tutto il tempo che poteva.
Madre e figlia erano felici insieme.
Era ora di cercare per loro, una vita più autonoma.
La nonna acquisita nel frattempo, era diventata nonna naturale di un bimbo, figlio della figlia, che aveva atteso a lungo una gravidanza, in cui ormai non sperava più.
La gioia di ripetere l’esperienza, ha compiuto un miracolo insperato.
La nonna volontaria, grata per quanto ricevuto dal destino, ha donato alla figlia di Adele, con tanto di atto notarile, una casetta di 3 stanze più i servizi, affinché potesse continuare a vivere, con la sua mamma.
Dopo il trasferimento nel nuovo alloggio, Adele ha iniziato a ricevere le viste di un signore non più giovane.
Ora che si sentiva al sicuro, si era fatta crescere i capelli, si era comprata degli abiti colorati, ed un giorno in cui era molto decisa, ha raccontato che lo zio, era il padre della bambina, ed era riuscito a rintracciarla.
Che strana coincidenza, proprio ora che aveva una casa sua, ed era in grado di cavarsela.
Lei non avrebbe desiderato rivederlo, perché ora aveva deciso, che non avrebbe più lasciato fare agli altri, ciò che non desiderava.
Abbiamo concordato di incontrare “lo zio”.
Adele era d’accordo, ora si sentiva forte, capace di fronteggiare le emozioni, che in passato non voleva evocare.
Un pomeriggio alle cinque, sole Adele ed io, in una stanza della comunità, abbiamo atteso l’anziano signore.
Non lo avevamo informato  della mia presenza, di proposito.
Ha bussato alla porta, gli abbiamo aperto.
Alto, magro, spalle larghe, un po’ curve, pantaloni grigi  di una taglia in più, troppo lunghi, camicia azzurra, di vecchia fattura, il colletto smangiato ai bordi. Le mani erano grandi, violacee, mi ricordavano quelle dei contadini, che d’inverno andavano col gelo, a potare gli alberi.
La pelle del viso cadente, le borse sotto agli occhi, gli occhi annacquati dagli anni.
Era in imbarazzo, Adele no.
Io neppure.
Lo abbiamo ringraziato di essere venuto.
Con tutto il sarcasmo possibile.
Adele era in piena sintonia con me.
Che soddisfazione!
Non solo perché stavamo cercando, di pareggiare i conti con il vecchio, ma soprattutto, per come Adele era diventata capace di difendersi.
Gli  abbiamo spiegato che Adele  ora, non desiderava le sue attenzioni, né le aveva desiderate in passato.
Se proprio avesse voluto rendersi utile, avrebbe potuto contribuire al mantenimento della bambina.
A questa proposta l’anziano signore senza esitazione,  ha risposto che la sua pensione, bastava appena per lui  e la moglie.
Entrambe, senza neanche un cenno di intesa abbiamo ripetuto la parola moglie!
Era bastato.
Lo zio non aveva elargito mai nulla, né per Adele né per la bimba.
Lo avevamo fatto notare con dispettoso accento.
Poi ho aggiunto con autorevolezza e con un tono di voce chiaro e deciso : “Adele non aveva  mai desiderato che  lei  si infilasse nel suo letto, non lo aveva mai  invitato. Mi ha raccontato che lei si era avvicinato, promettendole di aiutarla a trovare un lavoro, invece l’aveva collocata in una casa, in mezzo alla campagna, per farla sua. Inoltre, aveva denigrato la nipote, descrivendola ai parenti  come una sgualdrinella.
Dopo averla isolata e resa irraggiungibile, le forniva l’indispensabile, in cambio del superfluo a suo favore.
Lei non avrebbe voluto un uomo vecchio, non avrebbe voluto nessun uomo, tanto meno i suoi arti rigidi, e la sua bocca flaccida, arredata con  i denti  comprati, in vetroresina.
Non avrebbe voluto essere al mondo, quando lei arrivava col rancio. Quando la gravidanza si era resa visibile, lei l’ha lasciata sola.”
Era stato abbastanza.
Il vecchio, non era più né zio né persona,  era diventato niente, era indietreggiato, ed era uscito rigido, come se fosse stato surgelato.
Adele era diventata una madre  autonoma.
Non ha sorriso, non ha pianto.
Un’espressione  nuova ora la rendeva più interessante.
Bella non lo era mai stata, ma ora si era addolcita.
Per tanto tempo aveva temuto o desiderato di rivederlo.
Ora più nulla.
Li accanto a lei le ho confidato, che era stato il parroco che aveva segnalato di averla vista sola e gravida, dopo aver benedetto prima la casa, e poi lei.
Era stata la benedizione a far affiorare il messaggio  in bottiglia, di richiesta di aiuto.
Una delle ultime volte che sono andata a trovarla, le ho ricordato di chiamare il parroco per la benedizione.
Aveva riso.

———————————————————————————————————————————————————————-Un giusto premio –  dal libro “L’insolita bellezza di un mestiere” di Claudia Barbieri e Roberta Galassi