Ieri pioveva e sono tornata a casa in tram. Qui si dice così, anche da prima che costruissero la tramvia. Memorie del Secolo andato…
Una signora mi ha toccato la spalla per chiedermi di chiudere il finestrino.
Girandomi, ho riconosciuto Senait, la mamma di Isaias.
Ci siamo salutate con piacere, le ho chiesto come stavano le sue ginocchia, sempre doloranti per l’artrite; lei mi ha chiesto come stava la mia caviglia. Sui malanni comuni, abbiamo sempre scherzato.
Mi sono infortunata nel 2015 e per due mesi, sono stata assente dal lavoro. Quando sono tornata le era stata assegnata una nuova assistente sociale. Io ho continuato ad occuparmi di tutela dei minori, lei è “passata” a chi si occupa di famiglie fragili.
Una volta si diceva povere.
Le ho chiesto come stesse Isaias. Il suo sguardo si è illuminato.
“ Isaias cresce, fa la terza media, studia, è bravo a scuola”.
Abbiamo parlato per un po’ di questo figlio così amato, poi delle sue ore di lavoro che diminuiscono.
“E’ morto il signore dove lavoravo, mi è dispiaciuto tanto, era bravo”.
Poi della fatica di pagare l’affitto tutti i mesi “…ma bisogna farlo”.
Mi ha ricordato per nome tutte le persone che l’hanno aiutata.
Mentre lei mi raccontava, ho pensato come fosse bello stare lì, soltanto per il piacere di parlare.
Poi le ho chiesto come è la situazione nel suo Paese e in un attimo il suo viso è crollato.
“E’ inferno”.
Lei è scappata dopo anni di guerra. E da qualche tempo non torna più e lì è sempre la guerra.
“Il dittatore è cattivo, fa uccidere tutti e ora tutti odiano tutti”.
Mi ha raccontato che tre anni fa, dopo dieci anni di assenza, ha deciso di andare. Sua madre aveva visto Isaias soltanto una volta, da piccolo.
Quando lei e il figlio sono arrivati all’aeroporto per il viaggio di ritorno, i poliziotti l’hanno presa e buttata a terra, con le braccia piegate dietro alla schiena. Ha temuto di non riuscire a ripartire. Da quel giorno, Isaias ha rifiutato di parlare la sua lingua. Ora parla soltanto in italiano.
Con le lacrime mi ha detto che la madre è morta l’anno scorso e che lei non ha avuto il coraggio di andare al funerale. Ha lì due fratelli e tre sorelle, ma di loro non ha notizie perché sono stati tutti arruolati forzatamente nell’esercito.
“Potrebbero essere morti, come mio marito, non lo so”.
Ha alzato le braccia al cielo: “Io prego sempre”.
Quale Dio non è importante.
E poi, coi i pugni chiusi e i denti stretti,ha sibilato: “MALEDETTO DITTATORE, MALEDETTO”
La ragazza seduta di fianco a lei, aveva lo sguardo fisso davanti a sé. E, come me, gli occhi lucidi.
Arrivata la mia fermata – sapevo che lei sarebbe scesa a quella successiva – l’ho abbracciata.
Lei, un po’ stupita, ha fatto lo stesso con me e mi ha accarezzato una guancia.
Così, è terminato un viaggio qualunque sul tram.
A.R. Toscana
Le storie pubblicate sono testimonianze dirette o raccolte, di vicende personali e/o professionali degli assistenti sociali. Non hanno la pretesa di essere esempi universali, né di suggerire soluzioni, ma di raccontare, per chi scrive, cosa significhi questo lavoro. Nelle emergenze nazionali e mondiali e nella quotidianità che, per questa professione, è sempre emergenza.