Di Gianmario Gazzi*
Dopo oltre due anni forse ci siamo arrivati: “solo un terzo dei percettori del RdC sono potenzialmente occupabili”, “le famiglie numerose sono penalizzate”, “i servizi per la presa in carico vanno potenziati” e infine “il limite dei 10 anni di residenza in Italia per gli immigrati non è paragonabile a livello europeo ed è discriminatorio”.
Queste alcune delle frasi estrapolate oggi dai media dopo che sono state presentate le proposte della Commissione scientifica sul RdC presieduta da Chiara Saraceno.
Tutti concordi, lasciando fuori chi della esclusione degli stranieri fa bandiera, che bisogna intervenire per rendere più equa e inclusiva la misura.
“Benvenuti a bordo!” vien da dire.
Sono anni che tutti noi, assistenti sociali e non solo, continuiamo a dire che vanno fatti interventi correttivi. Non per ostilità alla misura o per partito preso, ma per i dati noti da tempo che vedono una oggettiva discriminazione di intere fasce di persone – non fruitori o utenti, ma persone – dall’unica reale misura di contrasto della povertà.
E quindi, ora, speriamo si parli di persone povere. I dati lo dicono, due terzi di questi 3,8 milioni di persone non solo non sono occupabili a breve, ma sono povere e hanno bisogno di aiuto.
Il sistema di controlli è oggettivamente mal fatto, sarebbe bastato tenere quello a monte del vecchio Rei, ma comprendiamo che nel dibattito di oggi, il tema dei truffatori e malfattori, del colpevole e del nullafacente, risulta più remunerativo.
Però la povertà è un dramma vero che merita attenzione e rispetto.
Un’attenzione che è fatta da ascolto, vicinanza, conoscenza e accompagnamento.
Lo ha detto anche il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta oggi in un’intervista: “le persone bisogna conoscerle e parlarci … serve potenziare i servizi per l’impiego”.
Una visione che non possiamo che condividere, ma per gli altri due terzi che facciamo? Lasciamo il salvagente dell’assegno e poi speriamo nella provvidenza?
La commissione Saraceno ha detto chiaramente che serve potenziare i servizi sociali, attenzione, tutti i servizi sociali non il pezzetto più redditizio per le prossime elezioni, per sostenere famiglie, minorenni e persone in difficoltà: la maggior parte dei percettori del Reddito di Cittadinanza.
Ora il dibattito si sposta nelle aule del Senato. Il governo di unità nazionale non è unito su queste priorità, che a occhio, riguardano almeno i due milioni e mezzo di persone “non attualmente occupabili”. Più facile evitare di difendere chi non ce la fa, chi non è simpatico alle masse, chi non è meritevole secondo il mainstream. Lasciamo che sia il Parlamento a decidere la rotta.
Dalle prime bozze della Legge di Bilancio, questa priorità non emerge.
Non vi è traccia di rinforzo dei servizi sociali, se non per qualche milione per ampliare i fondi ai comuni di Sicilia e Sardegna. Non vi è traccia di fondi sufficienti per chi non è autosufficiente. Nulla su livelli essenziali. Non parliamo di minorenni, di salute mentale o di persone con dipendenze, al momento pochi spiccioli per dire “abbiamo fatto il massimo, ma le priorità ora sono altre”.
Ora che tutti, o molti, sono saliti a bordo delle riforme e hanno capito cosa può essere veramente incisivo, speriamo che anche chi è escluso possa diventare veramente una priorità.
Non nel 2026, ma ora. Perché, diciamolo chiaramente, è da anni che sono queste persone a pagare la demagogia di chi oggi (forse) ha capito che di divani non ce ne sono poi molti.
*Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Assistenti Sociali