“La violenza contro gli assistenti sociali in Italia” è il titolo di una nostra ricerca – pubblicata da Fnas per Franco Angeli – che ha coinvolto oltre 20mila professionisti. E’ la triste realtà che ha toccato e tocca – in maniera più o meno grave – quasi nove su 10 di noi. In questi giorni il tema è tornato d’attualità perché la psichiatra Barbara Capovani è stata addirittura uccisa da un paziente che aveva manifestato più volte l’intenzione di farlo. Vi proponiamo, sempre dal libro “Dietro le quinte”, scritto da Nedi Amadori, Loredana Bertagni, Laura Passerai, di cui abbiamo già pubblicato uno stralcio lo scorso 16 aprile, un’altra testimonianza proprio su una violenza annunciata e avvenuta. Insensibilità, mancanza di prevenzione, disattenzione. Una lettera lo racconta.
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- Non esiste la tutela per i reati contro la persona degli AA.SS nell’esercizio della loro pubblica funzione?
- Non è possibile tutelare questi operatori dalle “cosiddette” aggressioni annunciate?
Il caso è quello di un uomo con numerosi e gravi precedenti penali, lucido nella sua follia, volutamente intimidante e gravemente violento. Padre separato di una bambina che ha raggiunto gli otto anni osservando e tentando di intervenire nell’escalation della aggressività dei rapporti fra i genitori.
Vari provvedimenti del Tribunale per i Minorenni prima e del Tribunale Ordinario competente per la separazione dopo individuano, non su proposta del Servizio Sociale, ma delle parti stesse, varie modalità di incontro fra la bambina ed il padre. Al Servizio Sociale il compito di eseguire i provvedimenti.
Il padre ritiene (in buona o cattiva fede) i servizi unici responsabili degli ostacoli che incontra nei rapporti con la figlia. Più volte nei vari momenti critici minaccia in maniera esperta (dicendo e negando) l’assistente sociale (unica figura di riferimento non per suo volere) che segue il caso insieme alla psicologa.
Per due volte (a circa un anno di distanza) aggredisce fisicamente l’educatore incaricato di presiedere gli incontri con la figlia, finché dopo aver ripetutamente minacciato il Servizio Sociale poiché da circa 20 giorni non riesce ad incontrare la figlia nascosta dalla madre, una bella mattina si presenta al Distretto, picchia con un colpo violento l’assistente sociale e si allontana solo dopo aver esercitato gravi intimidazioni verso di lei chiamando in causa il figlio di lei e dopo aver minacciato anche gli altri operatori accorsi in soccorso.
Il 113 è arrivato sul posto dopo circa 15 minuti l’avvenuto fatto per informare l’assistente sociale del suo diritto di presentare querela personale entro 90 giorni. Erano botte annunciate! Del forte rischio di essere picchiata l’assistente sociale aveva informato: la Questura – che sempre invita a non chiamare in forma preventiva, ma al momento in cui succedono i fatti – i Responsabili del servizio ed il Coordinatore sociale del distretto. Certamente la prima vergognosa colpa di questa, come delle altre aggressioni agli operatori durante le visite, è dell’aggressore, ma questi fatti andavano difesi e forse anche puniti?
Insieme al Responsabile del servizio e al Coordinatore sociale ci presentiamo in Questura, dopo la visita al Pronto Soccorso per il referto. Il Vice Questore che ci accoglie definisce il reato “percosse a incaricato di pubblico servizio” e pertanto ritiene che non debba essere perseguita attraverso una querela di parte (come hanno ritenuto i poliziotti intervenuti), ma è possibile procedere con una denuncia d’ufficio. Con soddisfazione ci apprestiamo a raccontare agli addetti della Squadra Mobile come sono andati i fatti. Ma prima di ogni altra dichiarazione è indispensabile lasciare i propri dati anagrafici, comprensivi di indirizzo di residenza. È noto che tale verbale completo di tali dati possa entrare facilmente in possesso della persona denunciata, non solo aggressore violento e persona notoriamente pericolosa, ma anche intimidatore del denunciante assistente sociale il cui “cuor di leone” si comprende, ha cominciato a tremare.
Si chiede di poter eleggere domicilio presso il luogo di lavoro, in questo modo evitiamo di fornire ulteriori informazioni relative alla persona dell’assistente sociale. Rigida opposizione come risposta. Il paradosso mi sembra grande, come grande è la sottovalutazione della pericolosità di un uomo già violento, impazzito e arrabbiato. Per punire con un processo che si terrà fra se e ma, fra un anno o due, si fornisce oggi all’aggressore arrabbiato l’indirizzo privato dell’assistente sociale.
Mi indigna il poco valore che costituisce una minaccia preceduta da un avvertimento: le percosse. E la punizione?
Al processo con i soliti se e ma del caso. Questo il valore di una figura professionale che ha come compito istituzionale quello di tutelare i figli di chi non sa tutelarli. L’unica soluzione per superare l’impasse è la denuncia personale con elezione del domicilio presso l’avvocato. L’Ente potrà costituirsi parte civile. Non è un dovere! Credo ci siano già molti operatori che hanno preso botte sotto gli occhi indifferenti dei loro amministratori. Non facciamoci illusioni. Credo sia lecito però chiedere, ed aspettarsi, che sia l’Ente a considerarsi parte lesa e a farsi promotore dell’azione legale contro l’aggressore.
Nel racconto di questo episodio alle Forze dell’Ordine, ai colleghi come ai familiari ho sentito il commento: “facendo questo lavoro si deve mettere nel conto che possano capitare queste cose”. Premesso che l’affannosa ricerca è per prevenire e tutelare, possiamo anche chiederci perché se si ritiene che siano incidenti ineludibili, a noi operatori del territorio che non ci limitiamo a lavorare con i pregiudicati, i carcerati, i malati di mente, i tossicodipendenti, ma lavoriamo per la tutela dei loro figli, non sia riconosciuta un’indennità di rischio degna di essere chiamata tale. Ricordo di aver detto più volte a vari livelli:” queste mani me le sento sul muso e mi sento sola”. Nonostante questo apprezzo l’impegno di chi si adopera per un coinvolgimento dell’Ente, ringrazio la leonessa che ha fermato le mani dell’aggressore, mi dispiaccio per chi si è fatto prendere dal panico e non c’è stato. Vada a fare in zum chi pensa che avrei potuto mettere in atto competenze e strategie per evitare i fatti.