Modello Toscana e quel che c’è da fare, nella Regione e in Italia

La presentazione del Terzo rapporto sui servizi sociali in Toscana è stata occasione importante per guardare un territorio, ma anche tutto il Paese.
Una Regione che ha investito, da tanto tempo, su integrazione sociosanitaria e assistenti sociali che, come ha assicurato l’assessore Serena Spinelli presente all’evento, ha raggiunto praticamente in tutto il territorio il rapporto di un assistente sociale ogni 5000 abitanti e lavora per l’obiettivo di uno a 4000.
Un modello, dunque, in molti settori e interventi, ma con margini di miglioramento perché ci sono le risorse per costruire nuove opportunità a favore di tutte le persone.
All’incontro, denso di notizie e di progetti, il Cnoas ha partecipato con il presidente Gazzi che, riprendendo le parole della presidente del Croas, Rosa Barone, ha chiesto, per la Toscana, ma per quelle aree dell’Italia tutta che non possono condividere la buona condizione della Regione ospitante, stabilità, supervisione, formazione, riforma del percorso universitario.
“Non ci vogliamo sostituire al sindacato, la battaglia che facciamo per il raggiungimento dei Leps, è una battaglia che conduciamo per le persone di cui ci occupiamo – ha detto Gazzi – Stabilire un rapporto di fiducia con chi si rivolge al servizio sociale, è un compito lungo e difficile e, quello che succede spesso è, che una volta stabilito il rapporto questo si debba rompere perché l’assistente sociale perde il lavoro! Eppure, ci ha ricordato il dottor Renato Sampogna del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, sono stati spesi soltanto 94 dei 180 milioni messi a disposizione degli enti locali per l’assunzione di assistenti sociali!”.
Gazzi ha concluso rinnovando il richiamo alla politica per la riforma del percorso universitario degli assistenti sociali: “abbiamo percorsi formativi fermi al secolo scorso”, ha detto; per la riforma della non autosufficienza e delle persone con disabilità. “Facciamo la nostra parte attivandoci nel migliorare la nostra professione anche con la supervisione, ma per migliorare la vita delle persone non bastiamo noi, neanche quando il rapporto sarà uno a 1500 abitanti, servono équipe multidisciplinari che intervengano sui servizi per l’impiego, la formazione, le politiche abitative, la tutela della salute e l’istruzione. Così anche per l’Assegno d’Inclusione che prende il via con la fine del RdC, altrimenti il carico della riforma ricadrà tutto su di noi”.