La migrazione rappresenta la sfida di questo secolo: una sfida inaffrontabile se non saremo in grado di andare oltre ai numeri che, troppo spesso, sembrano essere la sola chiave di lettura di un fenomeno strutturale, non destinato a cessare in tempi brevi e che sta cambiando non solo la nostra società, ma anche le nostre economie.
Istituita nel 2000 dalle Nazioni Unite, la Giornata internazionale del Migrante è celebrata ogni anno il 18 dicembre per richiamare la Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Diritti dei Lavoratori Migranti e dei Membri delle Loro Famiglie. Adottata 30 anni fa dall’Assemblea delle Nazioni Unite, ma non ancora ratificata dall’Italia e dalla maggior parte dei paesi europei, la Convenzione contiene la definizione internazionale di “lavoratore migrante” e stabilisce standard internazionali per il trattamento dei migranti e delle loro famiglie.
Rinchiuso nello steccato del dibattito politico, spesso piegato alle logiche elettorali, il tema rischia di finire strumentalizzato, anziché compreso e razionalizzat0 in termini di accoglienza, regolamentazione dei flussi, integrazione. La paura e la diffidenza impediscono di valutare la complessità di un fenomeno senza il quale la nostra stessa economia non reggerebbe: come dimostrano le nostre vite e le nostre famiglie, le statistiche e persino i conti dell’Istituto di previdenza, noi abbiamo bisogno dei lavoratori stranieri e, dato il progressivo invecchiamento del Paese, ne avremo bisogno ancora nel futuro.
E non potremo continuare a ignorare le condizioni di lavoro di migliaia di migranti al limite della schiavitù, di vite vissute in contesti disumani, all’interno di baraccopoli senza acqua, senza alcun servizio. Persone, intere famiglie lasciate senza alcuna tutela e senza alcuna assistenza sanitaria.
E mentre ci avviamo ad una vera rivoluzione del mondo del lavoro in cui le nuove tecnologie produrranno, come la pandemia ci ha mostrato, un’ulteriore divisione tra un gruppo ristretto di lavoratori super specializzato e un grande numero di operatori meno qualificato, troppo poco o nulla è stato fatto a tutela dei lavoratori stranieri le cui condizioni di vita non sono degne di un Paese come il nostro. Sono sempre i migranti a svolgere i lavori meno qualificanti e peggio retribuiti, privati di ogni diritto e di ogni tutela.
Gli assistenti sociali conoscono le sofferenze delle famiglie, delle donne e degli uomini privati dei diritti che regolano il lavoro di tutti tranne che il loro. Conoscono la sofferenza di chi è costretto a vivere con la paura del ricatto e della perdita di ogni possibilità di guadagno. E oggi rivolgono un accorato appello alla politica e alle istituzioni perché ad ogni lavoratore e ad ogni famiglia straniera che lavora e vive in Italia sia restituito, in termini di dignità e tutele, almeno quanto ognuno di loro contribuisce al nostro benessere e al nostro sviluppo.