Sono Graziella, assistente sociale, ma sono anche Graziella figlia, mamma, sorella e tanto altro.
Scrivo a caldo, a pochi giorni dal funerale del mio papà. Relativamente giovane, rispetto alle attuali aspettative di vita, papà è morto a 74 anni, dopo lunghi mesi di malattia.
Abbiamo deciso, fin dal l’inizio del suo declino fisico, che sarebbe rimasto a casa sua fino all’ultimo giorno e così è stato: si è serenamente addormentato nel suo letto con la moglie accanto e me al piano superiore, perché quella sera avevo deciso di dormire lì.
Perché condividere con la comunità professionale questo mio momento privato? Perché in tutti 31questi mesi le frasi che ci siamo ripetute erano: “Siamo fortunati perché viviamo in un territorio dove i servizi funzionano” alternata a “Quanta fatica devono affrontare le famiglie con meno strumenti dei nostri?” .
No, non parlo di strumenti economici. Parlo di conoscenza dei servizi, di capacità di muoversi nei servizi, di star dietro alle pratiche machiavelliche della burocrazia. Parlo della fortuna di avere come medico di base, una dottoressa empatica, attenta al paziente, ma anche al caregiver (che nel mio caso era mia madre), attenta a contattare anche me per mantenere comunque le fila della situazione. Capace di gestire e filtrare i mille diversi referti medici e le relative proposte terapeutiche, ascoltando sempre le volontà del paziente e della famiglia.
In rapido declino papà è passato dall’essere l’anziano iperattivo – che ad agosto in pieno caldo, trovavi in giro in bicicletta o in palestra a tentare di fare ancora il maestro di lotta – all’essere diventato l’anziano in carrozzina che con le braccia si solleva ancora, a diventare allettato, impossibilitato a deglutire, totalmente dipendente e, nell’ultima settimana di vita, a non riuscire più a parlare.
Ad ogni pezzo che perdeva, aumentava la sua capacità di adattamento e la nostra. Di pari passo i servizi da attivare, dal domiciliare con gli operatori OSS per l’igiene al mattino, al servizio infermieristico e prima ancora protesico per carrozzina, e poi la prenotazione del letto adeguato che non ha fatto in tempo ad arrivare, fino al fisioterapista che istruisse mamma sui movimenti da fare per non farsi male e ai trasporti con mezzo attrezzato per ogni visita medica. Certo, nel dramma e nella fatica di un intero sistema familiare, la storia di papà è la storia di un cittadino che ha potuto ricevere tutte le cure di cui aveva bisogno e addormentarsi serenamente a casa sua.
Confrontandomi con colleghi ed amici di diverse regioni mi rendo conto che non è assolutamente così ovunque. Il mio papà è stato un anziano malato, multiproblematico in un territorio con i servizi giusti al momento giusto. La nostra famiglia come ha fatto ad affrontare tempestivamente le difficoltà ed attivare i servizi necessari? Come ha gestito la fatica della presa di cura? Noi, suoi figli siamo un assistente Sociale e un autista soccorritore della Croce Rossa, il genero e la nuora due OSS. Una rete amicale di supporto costante per mia madre ed i nipoti, sia i piccoli che gli adolescenti, in parte coinvolti nel sostegno alla nonna.
La malattia è la vecchiaia sono uguali per tutti? Le risorse sono le stesse per tutti? Purtroppo ancora no, devi avere la fortuna di ammalarti nel posto giusto. Oggi mi concentro sugli aspetti positivi,nella gestione di un’importante sofferenza. Un giorno forse parlerò della gran capacità di governo della rabbia che ho provato in diverse occasioni nel rapporto, invece, con l’organizzazione e gli operatori dell’ Azienda ospedaliera…
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Graziella Stivilla, Piemonte