Garantire diritti/rispettare iI LEP. C’è differenza, parliamone! Ci ospita Huffington

“Garantire diritti è una cosa (istruzione, salute, assistenza e cura, per esempio), altro è dire che ho un ospedale ogni cinquantamila abitanti o un insegnante ogni 30 alunni. Diventa chiaro a tutti che un Livello Essenziale delle Prestazioni non dice nulla sulla qualità del diritto garantito. Un insegnante o medico per un numero anche minimo di persone non mi dice nulla delle strutture e degli strumenti che avranno a disposizione, dei programmi, dei contenuti, della qualità degli interventi. Procedura perfettamente seguita, il diritto è morto”

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I diritti non sono LEP

 

di Gianmario Gazzi*

Tra le polemiche di questi giorni – risse sul caso Cospito e 41bis, gabbie salariali  –  e le previsioni fosche e incerte su durata  e conseguenze della guerra, in Italia si è aperto il cantiere delle riforme e dell’annosa questione dell’autonomia differenziata.

Senza arrogarsi ruoli altrui, gli assistenti sociali su questo tema possono dire molto visto che già oggi, anche più della sanità, il Welfare è differenziato da regione a regione e spesso da comune a comune. Per constatarlo non serve una ricerca, basta leggere i dati ISTAT e parlare con le persone che per povertà o non autosufficienza chiedono sostegno e servizi sociali.

Quando parliamo di autonomia differenziata, per la nostra esperienza quotidiana, dobbiamo stare attenti al linguaggio e ai termini. Nessun professionista ritiene più attuabile un sistema centralista di Welfare, superato dalla storia e dalla società, anzi. Siamo noi per primi consapevoli della necessità di lavorare per la costruzione di servizi sociali “su misura” delle comunità e dei contesti dove si realizzano: Milano non è uguale a Isernia e Siracusa non è Belluno. Lapalissiano.

Il problema, quindi, è altrove e sta nella chiarezza di norme e nelle risorse per sostenere e garantire i diritti costituzionali delle persone.

I più scoprono ora l’acronimo LEP, ma gli addetti ai lavori, e noi lo siamo, sanno bene che parlare di Livelli Essenziali delle Prestazioni, può sembrare un ancoraggio sicuro, ma è quanto mai ambiguo. Lo dico con certezza perché l’esperienza della Legge 328, del Reddito di Cittadinanza e altro, mostrano plasticamente alcune cose.

La prima, la più importante, i LEP – che rimangono comunque fondamentali –   non sono diritti ma prestazioni.  E questo non è indifferente.

Garantire diritti è una cosa (istruzione, salute, assistenza e cura, per esempio), altro è dire che ho un ospedale ogni cinquantamila abitanti o un insegnante ogni 30 alunni. Diventa chiaro a tutti che un Livello Essenziale delle Prestazioni non dice nulla sulla qualità del diritto garantito. Un insegnante o medico per un numero anche minimo di persone non mi dice nulla delle strutture e degli strumenti che avranno a disposizione, dei programmi, dei contenuti, della qualità degli interventi. Procedura perfettamente seguita, il diritto è morto.

L’esperienza attuale è che in tutta Italia, oggi, dovrebbe esserci un assistente sociale ogni 5000 abitanti, ma così non è ovunque per un semplice motivo: le risorse.

La seconda variabile, infatti, è la disponibilità dei fondi per garantire quel livello previsto. Sempre utilizzando la nostra esperienza possiamo dire che in tre anni quando entrò nella legge di stabilità il LEP 1/5000, verso 1/4000 , ancora oggi, non abbiamo raggiunto quell’obiettivo perché le aree del Paese sono diverse e perché diversi i capitali. In pratica, i comuni e le regioni più forti hanno avviato subito i concorsi e le attività necessarie per il futuro obiettivo di un professionista a quattromila abitanti. Chi era più fragile finanziariamente o con i bilanci in dissesto ancora oggi è lontano dal rapporto di uno a 10000!

Ultimo punto, lo dico per esperienza personale vivendo in una provincia autonoma, l’autonomia richiede un’altissima responsabilità e una struttura amministrativa adeguata. Non ci si improvvisa sulla pelle delle persone. Dove vivo l’Autonomia  ha la A  maiuscola ed è stata costruita passo passo, sapendo investire e costruendo infrastrutture pubbliche molto forti. Sappiamo tutti che nel resto del Paese non è così, non per demerito o colpa, semplicemente non c’è la stessa storia e non si può far finta di nulla se teniamo alla tenuta dello Stato.

Noi, come assistenti sociali, la diseguaglianza l’abbiamo vista e la viviamo e con noi i più fragili.

Parliamone, costruiamo autonomie e responsabilità, uguaglianza e unità, ma non dimentichiamo i molti errori già fatti scambiando una prestazione per un diritto.

 

*Presidente Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali